La burrasca è tornata sul debito pubblico, mentre siamo entrati in una spirale di recessione insieme a vari Stati dell’euro zona. Se in cambio della recessione, avessimo debellato la brutta bestia dello spread dei titoli di Stato poliennali (Btp), che è indice di un rischio finanziario e comporta una spesa differenziale per interessi per l’erario, il sacrificio dovuto ai nuovi gravami sarebbe fruttuoso.
Ma, per ora, così non è. Infatti la quota di 370-80 punti che lo spread ha toccato, ci porta di nuovo vicino all’area del pericolo rosso, quella dei 400 punti, sopra ai quali c’è una turbolenza difficile da controllare. È vero che quando il governo Monti ha assunto il potere eravamo su quota 500, e ora siamo sotto a essa di oltre 100 punti. Ma nel frattempo ci sono state misure di austerità, che potevano far sperare in una situazione migliore.
Che cosa non ha funzionato? Molto non dipende da noi. Il peggioramento attuale deriva dalla Spagna. Dopo alcuni mesi in cui pareva che il mercato del suo debito stesse tornando alla normalità, ora esso è improvvisamente peggiorato. La stampa finanziaria internazionale spiega questo fenomeno con il cosiddetto avvitamento. Le misure di austerità hanno fiaccato l’economia spagnola, già debole nelle sue articolazioni di imprese edilizie e di banche locali (casse di risparmio) rese fragili dalla crisi seguita al boom immobiliare. La recessione genera nuove sofferenze creditizie e, quindi, nuovi problemi alla struttura bancaria iberica, riduce le entrate pubbliche e rende più difficile al governo di Madrid scendere dal deficit del 7% al 5% e poi al 3% nel biennio. Il governo non ha molti mezzi per rilanciare l’economia, stremata dalla crisi edilizia, dai soccorsi pubblici alle banche, dalle nuove imposte e da una disoccupazione al 18-19%.
Sarebbe desiderabile che l’Unione europea fosse meno severa con la Spagna che ha un rapporto tra debito e Pil del 68% soltanto, uno dei più bassi d’Europa. Ma così non è. E d’altra parte la Bce per un po’ non erogherà più prestiti triennali alle banche all’1%, perché ne ha già messi in circolo per mille miliardi. Pertanto gli istituti di credito non possono più contare su tale provvista per acquistare il debito pubblico. La speculazione finanziaria, così, è tornata sulla Spagna.
E ciò si ripercuote sull’Italia. Si può, infatti, pensare che l’avvitamento che morde in Spagna possa avere luogo anche in Italia. Si tratta, però, di situazioni diverse. Tutti adesso ammettono che l’Italia abbia, al riguardo, problemi minori perché essa, grazie alle tre maxi-manovre del governo Berlusconi e al decreto salva-Italia del governo di Monti, attualmente ha un deficit inferiore al 3%. E io reputo che nel 2012 esso può arrivare all’1,5 senza manovre aggiuntive. Ma non tutti la pensano così. L’Italia non ha un avvitamento di tipo spagnolo perché le banche (salvo eccezioni) non hanno le fragilità di quelle spagnole, la disoccupazione è al 9,3% (10,5 la media Ue) e l’export è migliore della media europea. Ma l’Italia ha un rapporto debito-Pil quasi doppio di quello spagnolo, cioè il 120%.
Sarebbe necessaria la crescita per ridurre tale rapporto, mentre la recessione riducendo il Pil lo peggiora. Essa è dovuta, in parte, alla manovra fiscale eccessiva, in particolare agli effetti depressivi dell’Imu, che il governo non aveva previsto, perché sospinto da errate teorie degli economisti keynesiani che pensano che bisogna accrescere le imposte sul risparmio e quindi sulle case.
Le ricette per reagire alla crisi sono due. Una è l’elasticità del mercato. Invece il mercato del lavoro è appesantito dal modo assurdo in cui l’articolo 18 è interpretato dalla magistratura e dalle rigidità dei contratti nazionali di lavoro. Le iniziative economiche sono appesantite dai vincoli burocratici, dalla lentezza e cavillosità delle procedure e della giustizia e da imposte sugli affari troppo alte.
L’altra ricetta per contrastare la recessione è quella classica, la politica delle opere pubbliche e delle infrastrutture, finanziabili in gran parte sul mercato, con prevalenza della privata iniziativa. Ma il ministero dello Sviluppo appare fermo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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