Ora la svolta "anti Merkel" manda in tilt i mercati Ue Lo spread oltre quota 400

L’Europa brucia 160 miliardi in un giorno Milano cede il 3,83%. Rendimenti dei Bot alle stelle, Bankitalia: "Ora tagli alle spese"

Ora la svolta "anti Merkel" manda in tilt i mercati Ue Lo spread oltre quota 400

Il doppio rigurgito alle misure ultra-rigoriste di matrice tedesca venuto da Francia e Olanda ha provocato ieri sui mercati l’ennesimo cortocircuito, fatto di indici accartocciati come lattine e spread surriscaldati. Reazione - si direbbe - da manuale per chi sembra aver traslato in chiave finanziaria il vecchio motto sessantottino del «siate realisti, chiedete l’impossibile». Oggi l’impossibile è riuscire a coniugare austerity e crescita economica. Nessuno c’è ancora riuscito, mentre gente disposta ad aspettare misure salvifiche tirando nel contempo la cinghia se ne vede sempre di meno in giro per il Vecchio continente.
Dal primo turno delle presidenziali francesi e dalle dimissioni del premier olandese che spianano la strada al voto anticipato, esce infatti l’idea di un’Europa un po’ diversa da quella disegnata a sua immagine e somiglianza da Frau Angela Merkel. Un’Europa insensibile tanto al potenziamento del fondo salva-Stati europeo, tanto a quello del Fondo monetario internazionale deciso nel week-end dal G-20. Quattrini percepiti come soldi di carta, incapaci di creare nuovi posti di lavoro.0Ed è proprio questo ricostituente economico e della fiducia, da contrapporre all’universo ipertrofico della finanza, che oggi manca all’appello. L’alto tasso di disoccupazione nell’euro zona (l’ultimo dato spagnolo è un 23% da brividi), i timori di chi teme di perdere il lavoro e le scarse prospettive sull’evoluzione della crisi sono invece il principale detonatore del malcontento. Che poi si traduce nell’affermazione di un outsider come François Hollande, cui basta far leva sulla promessa di un ritorno a una politica di deficit spending di stampo keynesiano. Colpendo così al cuore un totem del rigorismo quale è il fiscal compact, ovvero il dogma del pareggio di bilancio a ogni costo. Con il loro voto, milioni di francesi hanno detto a Sarkozy che l’asse con Berlino non è la soluzione ai problemi. Vogliono più spesa pubblica per tornare a crescere e meno parametri contabili cui attenersi con lo scrupolo del ragioniere. Non solo gli elettori di sinistra, ma anche quelli che hanno dato credito a Marine Le Pen e alle sue barriere nazionalistiche e xenofobe. Al tempo stesso, lo squagliarsi in Olanda (uno dei Paesi più vicini alla Germania) della coalizione di governo a causa del mancato accordo sulle misure volte a centrare gli obiettivi di risanamento dei conti, è un altro segnale sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda francese.
Insomma, un duplice deragliamento dal binario del rigore di cui i mercati non potevano non tenere conto. Il lunedì nero è stato così inevitabile: 160 miliardi di euro di capitalizzazione borsistica, di cui 12 a Milano, sono stati sacrificati sull’altare di pesanti ribassi che hanno affondato - non a caso - soprattutto Francoforte (-3,36%) e Parigi (-2,83%), ma aperto ferite anche a Madrid (-2,76%), Amsterdam (-2,56%) e Londra (-1,85%). A pagare il conto più salato è stata tuttavia Piazza Affari (-3,83%, Ftse-Mib sotto quota 14mila), piegata dalla pioggia di vendite che si è abbattuta sul gruppo Fiat e sulle banche. Ancora una volta, il salire della tensione a livelli di guardia ha poi riacceso la febbre degli spread, con il differenziale Btp-Bund salito a 408 punti base, quello degli Oat francesi a 145,5 e quello dei Bonos spagnoli a 436,1. Una situazione di instabilità che secondo Bankitalia richiede «di perseverare nelle politiche di risanamento dei conti pubblici, di avanzare nelle riforme a sostegno della crescita e di contribuire al rafforzamento degli strumenti per la stabilità finanziaria». Anche perché le preoccupazioni dei mercati rischiano di rendere più lenta la ripresa, prevista nel 2013. Eppure, via Nazionale sembra cogliere l’insofferenza crescente degli italiani verso le sforbiciate che riducono la qualità dei servizi pubblici, che va invece preservata secondo l’istituto guidato da Ignazio Visco, mentre si dovrebbe agire con tagli alle spese delle istituzioni.
La richiesta di un cambiamento delle strategie di finanza pubblica si percepisce però soprattutto nelle parole con cui la Corte dei Conti spiega che l’effetto recessivo delle manovre dissolverà circa 40 miliardi.

Non solo: l’obiettivo di riequilibrio del bilancio perseguito attraverso il prelievo fiscale ha finito per forzare una pressione già fuori linea nel confronto europeo e creato le condizioni per ulteriori effetti recessivi.

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