Economia

Palazzo Chigi copia Letta per non pagare le pensioni

Dopo la sentenza della Consulta, il governo intende ripristinare gli adeguamenti previsti dal precedente esecutivo. Quindi, per gli assegni oltre 3.000 euro non ci sarà perequazione

Palazzo Chigi copia Letta per non pagare le pensioni

Alla fine Matteo Renzi sarà costretto a copiare la soluzione del rebus pensioni dal premier spodestato. Da quell'Enrico-stai-sereno Letta che gli passò controvoglia il campanello di Palazzo Chigi 15 mesi fa. Copia e incolla forzato di un'altra sforbiciata alle pensioni, meno dura di quella decisa da Monti e Fornero. Con l'obiettivo, nell'ordine, di prendere un po' di soldi dai pensionati e quindi limitare gli effetti della sentenza sulle finanze pubbliche; accontentare la Corte costituzionale concedendogli un po' di quella «proporzionalità» nella stangata sugli assegni che con la legge Monti si era effettivamente persa per strada (assegni sopra tre volte il minimo senza rivalutazione). Non ultimo, salvare la faccia, dimostrando che il governo è in grado di fronteggiare un'emergenza conti.

In sostanza, l'ipotesi che si sta rafforzando ogni giorno è quella che consiste nell'applicare retroattivamente, per il 2012 e il 2013, anni in cui c'è stato il taglio drastico della legge Fornero, il sistema attuale che è stato studiato dal precedente esecutivo proprio per limitare le asperità del Salva Italia.

La restituzione verrebbe calcolata su una rivalutazione piena per le pensioni fino a tre volte le minime, del 95% tra i 1.500 e i 2.000 euro, del 75% fino ai 2.500 e del 50% fino a 3.000. Niente oltre. Soluzione che limiterebbe il colpo per i conti pubblici rispetto alle altre ipotesi in campo. Perché l'alternativa sarebbe applicare il sistema pre 2012, molto più generoso nella rivalutazione e che agiva su scaglioni e quindi molto più costoso per le casse pubbliche.

Per i pensionati cambia molto. La differenza è tra avere indietro, in caso di un assegno mensile di 2.000 euro, circa 500 euro all'anno oppure sfiorare i mille. Inutile dire che cambia molto anche per le casse pubbliche. Recuperare il sistema pre stangate dei governi tecnici, significherebbe spendere tra i 9 e i 12 miliardi per il pregresso e 5 all'anno per il futuro. Impossibile.

Dal ministero dell'Economia si fa sapere che di certo non c'è nulla, se non l'esigenza di salvare capra e cavoli. «Ho accennato a Jeroen Dijsselbloem i contenuti della sentenza» della Corte Costituzionale sulle pensioni e «gli ho confermato che il governo sta lavorando nel rispetto della sentenza su misure che minimizzino l'impatto sui conti pubblici, anche nel rispetto degli obblighi imposti dalle regole Ue», ha spiegato ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan al termine di un incontro con il presidente dell'Eurogruppo. Il diktat è «impatto minimo sui conti». Quindi massimo sui pensionati.

Dall'Ue è arrivata una mezza mano tesa. Nel senso che la Commissione europea ha detto che non ci sono scadenze entro le quali il governo dovrà fornire ricette e cifre. In sostanza si fa capire che questo imprevisto non rientrerà nel giudizio che l'Ue sul piano delle riforme.

Ma le parole di Padoan dimostrano che non c'è nessuna apertura rispetto al progetto del governo di fare parte dell'operazione in deficit. L'esecutivo ha fatto di tutto per utilizzare ogni spazio di manovra entro il limite del deficit. Se Bruxelles permettesse di arrivare al 3%, il governo potrebbe contare su 6-7 miliardi e resterebbe poco da coprire con tagli alla spesa o nuove tasse. Ma la disponibilità di Bruxelles non è scontata. Quello che è certo è che la cartina degli imprevisti pescata da Renzi, rovinerà diversi progetti. A rischio l'ammorbidimento della riforma delle pensioni Fornero. Pollice verso per il reddito minimo agli over 55, progetto che anche ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha rilanciato.

Non è più aria per leggi di spesa.

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