Se fosse un incontro sportivo finirebbe in parità. Gli atti che l’Agenzia delle entrate trasmette ai soggetti fiscali mediante posta elettronica certificata (pec) possono essere nulli se inviati da un indirizzo che non appare negli elenchi pubblici. I giudici tributari sono divisi in due, alcune volte danno ragione al contribuente, altre volte all’autorità.
Non è cosa nuova, se ne parla da diversi anni ma il tema ritorna occasionalmente agli onori delle cronache anche perché, con il passare del tempo, non si crea uniformità nel diritto.
Eppure la legge è chiara
La Legge 53/1994, all’articolo 3 bis, sancisce che le notifiche telematiche possono essere fatte soltanto da un indirizzo di posta elettronica certificato che compare negli elenchi pubblici. Nonostante ciò, le Commissioni tributarie italiane ricevono ricorsi basati proprio sulla non idoneità degli indirizzi pec mediante i quali le cartelle sono state inviate.
Il vizio di notifica ha indotto la Commissione tributaria di primo grado competente ad annullare il debito nei confronti dell’erario di un imprenditore assisano, 71 cartelle per un valore di 1,4 milioni di euro. Se gli atti provengono da un indirizzo pec diverso da quello ufficiale presente nei registri pubblici, è come se non fossero mai stati notificati.
I registri pubblici che fanno stato: Ipa, Reginde e Inpec. Un caso per spiegare meglio: lo scorso mese di luglio la Commissione tributaria di Napoli ha annullato una cartella esattoriale inviata al contribuente dall’indirizzo pec: notifica.acc.campania@pec.agenziariscossione.gov.it, diverso da quello presente nei registri, ossia: protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it.
La difesa dell’Agenzia delle entrate
I legali dei contribuenti, in fase di contestazione delle cartelle, fanno ricorso alla già citata legge 53/1994 e alle numerose sentenze che, di fatto, si limitano a ribadire il contenuto della legge medesima.
L’Agenzia delle entrate replica rispolverando l’articolo 26 del decreto del presidente della Repubblica 602/1973 (modificato nel 2017) nel quale viene specificato che è l’indirizzo pec del destinatario, quello che deve essere presente negli elenchi pubblici. Un ribaltamento di 360° accolto da diverse Commissioni tributarie che escludono la nullità degli atti.
Le Commissioni tributarie che danno ragione all’Agenzia delle entrate ignorano però la sentenza 17346/2019, mediante la quale, la Cassazione conferma la necessità che anche l’indirizzo pec del mittente debba essere inserito negli elenchi pubblici, in caso contrario la notifica al contribuente è viziata ed
insanabile.Manca quindi quell’uniformità che spinge la parte soccombente ad adire le Commissioni tributarie di grado superiore, causando perdite di tempo e costi che si potrebbero risparmiare, oltre alle perdite per l’erario.
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