Pensioni flessibili e “quota 100” Il no di Boeri: «Costano troppo»

Il presidente Inps boccia ogni possibile idea di riforma L'unica ipotesi sostenibile sarebbe quella contributiva

RomaNo alla flessibilità in uscita, stop a «quota 100», sbagliato pensare alla staffetta generazionale. In una sola audizione parlamentare il presidente dell'Inps Tito Boeri è riuscito a bocciare tutte le proposte di riforma previdenziale in campo. Compresa l'unica ricetta del governo ad avere il crisma dell'ufficialità, cioè il ricambio tra lavoratori anziani e giovani. A Boeri piace solo il ricalcolo delle pensioni con il contributivo, che assomiglia molto a quella che, secondo le indiscrezioni, sarà la sua proposta. La ricetta ufficiale per superare la legge Fornero che l'economista presenterà a fine mese e comprenderà anche un taglio agli assegni più alti.

Un'uscita molto politica, insomma, quella di Boeri ieri alla Commissione Lavoro della Camera. Cominciata con la bocciatura della proposta di Cesare Damiano, ex ministro del lavoro e presidente della stessa commissione Lavoro, e di Pier Paolo Baretta, sottosegretario all'Economia. È la flessibilità in uscita che fissa il requisito per il ritiro dal lavoro a 66 anni di età e 35 di contribuzione e poi prevede la possibilità di anticipare la pensione fino a 4 anni, con un taglio di due punti percentuali per ogni anno di anticipo. Troppo onerosa, secondo il presidente dell'Inps. Se adottata «si registrerebbe un disavanzo annuale fino a 8,5 miliardi».

La penalizzazione studiata dai due esponenti Pd non è sufficiente. I tagli non garantiscono neutralità. L'assenza di finestre renderebbe la normativa addirittura più favorevole della riforma varata dallo stesso Damiano nel 2007. Quella del superamento dello scalone.

Sempre a causa dei costi, è da respingere la «quota 100», proposta con modalità diverse dallo stesso Damiano e anche dalla Lega Nord. Nella proposta Pd diventerebbe possibile andare in pensione a partire da 62 anni con 38 annualità di contribuzione che diventano 37 a 63 anni e così via. Nella versione leghista, l'età minima è di 58 anni e 42 di contributi. Per Boeri è «il ritorno alle pensioni di anzianità per un costo stimato nel 2019 di 10,6 miliardi», che graverebbe sui giovani.

La strada per Boeri è estendere anche agli uomini «Opzione donna». Nella versione della riforma Maroni dà la possibilità alle lavoratrici di ritirarsi a 57 anni con 35 di contributi con un ricalcolo dell'assegno fatto con il contributivo. Nella versione Boeri i requisiti sarebbero più duri. Ma il principio di ricalcolare gli assegni con il contributivo è «condivisibile» perché «consente la flessibilità».

Idea che non piace a Damiano: «Sono totalmente contrario a un ricalcolo con il sistema contributivo cosi come sono contrario all'idea di inquietare 15 milioni di pensionati per il solo fatto che sono andati in pensione con il retributivo».

Ma l'intervento di Boeri colpisce soprattutto per la bocciatura della staffetta generazionale. Cioè accordi aziendali con uno scambio tra assunzioni e pensioni anticipate.

È una proposta ufficiale del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Bocciata da Boeri perché finirà per pesare sulla fiscalità generale. Uno stop al governo, che non sarà piaciuto affatto al dicastero di via Flavia. E poco anche a Palazzo Chigi.

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