Pensioni giù, tasse su: l’inferno di Monti

A riposo più tardi con meno soldi, imposte record e 150mila negozi a rischio chiusura: i dati sono impietosi

Pensioni giù, tasse su: l’inferno di Monti

C’è un’Italia che prende lentamen­te forma mettendo insieme dati statistici e rilevazioni varie, man mano che ne veniamo a conoscenza. È un Paese che cambia e che soffre le pene della crisi. Non è ancora l’Italia del governo Monti, è troppo presto. Ma proprio per questo c’è da essere preoccupati perché, come arcinoto, la priorità dell’esecutivo è stata quella di mettere mano ai conti pubblici, tagliando le spese e alzando le imposte. Men­tre non ha ancora convinto nessu­no il timido tentativo di rilanciare la crescita con il decreto sviluppo. Per questo, se già siamo circonda­ti da dinamiche recessive, chissà dove andremo a parare quando si trasferiranno sull’economia rea­le gli effetti delle manovre Monti-Fornero. Che vanno a incidere su un Pil 2012 previsto, nella miglio­re delle ipotesi, in calo del 2%: A parte la Grecia (-7,1%), nessun al­tro Paese ( in Europa, nel mondo), come si legge nello specchietto riassuntivo degli indicatori econo­mici dell’ Economist , ha davanti a sé una prospettiva peggiore.

In questo simpatico quadro vanno inseriti gli ultimi dati del­l’Inps, che ci dice come nei primi sei mesi del 2012 l’età media per l’accesso alla pensione, nel setto­re privato, è salita a 61,3 anni: qua­si un anno di più rispetto al 2011, quando la media era 60,4. Abbia­mo distanziato la Francia, che sta a 59,3, e ci stiamo, ça va sans dire , avvicinati ai tedeschi (che ci vor­rebbero sempre più simili a loro), sereni a quota 61,7. E attenzione, perché non si tratta della riforma Fornero: questo è semplicemente l’effetto delle rifor­me Damiano e Sac­coni (ultimi due governi Prodi e Berlusconi), con l’introduzione del­lo scalino per la pensione di anzia­nità e delle fine­stre mobili. Così, quando arriverà l’effetto Fornero (a partire dall’anno prossimo) la situazione diventerà ancora più drammatica. E infatti, prima anco­ra che la riforma Fornero vada a ta­gliare l’emissione di nuovi asse­gni, essi stanno già precipitando: quelli liquidati dall’Inps, nei pri­mi sei mesi di quest’anno, sono di­minuiti del 47% sempre per gli ef­fetti combinati delle precedenti ri­forme. Per cui oggi, raggiunti i re­quisiti, si devono attendere 12 me­si (18 per i lavoratori autonomi) prima dell’accesso alla pensione. Il caso estremo è quello dei lavora­to­ri autonomi con pensione di vec­chiaia, la cui età media per andare in pensione è passata da 63,3 addi­rittura a 68,4 anni, con un crollo del 90% degli assegni staccati.
Allo stesso tempo, sempre per restare semplicemente alle noti­zie di ieri, il Paese fa i conti con la pesante crisi del commercio al det­taglio: secondo l’agguerrito uffi­cio studi degli artigiani di Mestre, negli ultimi 10 anni i negozianti hanno subito aumenti nei canoni d’affitto che, in alcuni casi come il centro storico di Bari, arrivano al­l’ 89 per cento. Mentre la maggior parte delle altre grandi città pre­senta
variazioni tra il 36 il 70 per cento. E come accade per le pen­sioni, i provvedimenti dell’esecu­tivo tecnico rischiano di rendere la situazione insostenibile: la Cgia di Mestre calcola che le conse­guenze dell’introduzione del­l’Imu, al momento del rinnovo delle locazioni, innescherà un ul­teriore boom dei canoni tale che, già quest’anno,ben 150mila nego­zi saranno a rischio chiusura. Un dato che, va detto, è contestato da Confedilizia, secondo la quale l’equazione Imu=affitti più alti, è tutta da dimostrare. In ogni caso l’allarme esiste e il tema non può essere ignorato. Allora il punto è questo: in un’Italia dove un lavoratore auto­nomo che pensava di andare in pensione a 63 anni dovrà invece aspettarne altri 5; dove il tasso di disoccupazione (10,1%) è il peg­giore dell’area euro con la sola ec­cezione di Grecia e Spagna; dove un giovane su tre non trova lavo­ro; dove i commercianti rischiano di chiudere in massa la propria at­tività; e questo solo per citare alcu­ne magagne di maggiore attuali­tà; in questa Italia c’è da chiedersi se la cura pensata per i prossimi anni non sia un potenziale incu­bo.

Anche perché alla riforma del si­stema previdenziale retributivo e al raddoppio delle tasse sugli im­mobili, potrebbe come niente ag­giungersi, nel 2013, l’aumento di uno o due punti dell’Iva. Mentre la spending review che si sta varan­do in questi giorni­non sarà il sem­plice taglio delle spese e degli spre­chi di Stato, senza conseguenze: si pensi al rischio che otto Regioni (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Moli­se, Campania, Puglia, Calabria, Si­cilia) scelgano l’opzione del rial­zo dell’addizionale Irpef (da 0,5 a 1%), per far fronte ai tagli nella sa­nità. O al taglio degli organici nel pubblico impiego. O alle difficol­tà che avranno gli enti locali nel far fronte alle spese per l’istruzio­ne.


Ecco perché va bene tutto, ma non è più pensabile che per que­sto Paese, per la sua classe media più produttiva in particolare, (che ha finora tollerato ogni «vessazio­ne » con una compostezza sociale ammirevole), le riforme per la cre­scita non diventino subito una priorità.

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