Dopo Unicredit anche Intesa Sanpaolo fa le grandi pulizie in vista degli «esami» patrimoniali europei, finendo in perdita per 4,55 miliardi nel 2013 (-5,19 miliardi nel solo quarto trimestre) dopo 5,8 miliardi di svalutazioni estanziamenti sul rischio crediti per 7,1 miliardi, controbilanciati dai 2,6 miliardi derivanti dalla rivalutazione della quota detenuta in Bankitalia.
Malgrado il rosso (nel 2012 c'era stato un utile di 1,6 miliardi), il capo azienda di Ca de' Sass Carlo Messina non lascia a secco le Fondazioni azioniste, prospettando ai soci un dividendo stabile a 5 centesimi per azione. Un lusso che Intesa si può permettere grazie a una marcata liquidità e solidità patrimoniale (12,3% il common equity proforma Basilea 3): senza le svalutazioni il risultato netto sarebbe stato in attivo per 1,2 miliardi. «Intesa Sanpaolo chiude il 2013 come la banca più forte in Europa», ha detto Messina, che qui incardina il nuovo piano industriale che che porterà Intesa ad macinare 4,5 miliardi di utili nel 2017 e a distribuire 10 miliardi di dividendi in contanti (1 miliardo sul 2014, 2 sul 2015, 3 sul 2016 e 4 sul 2017).
Intesa ha un capitale in eccesso vicino «a 8 miliardi» che, ha proseguito il top manager, «se non sarà utilizzato per crescere sarà restituito agli azionisti». Il piano prevede la «creazione di valore per tutti gli stakeholder», con oltre 200 miliardi complessivi di «contributo all'economia» nel triennio e una crescita dei crediti «ben superiore» alla ripresa del Pil. Proprio l'attuale eccesso di capitale, allontana invece la possibilità di una quotazione di Fideuram.
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