«Un piano su Mirafiori per zittire la Fiom»

«Un piano su Mirafiori per zittire la Fiom»

Tra i vari fronti aperti, due sono quelli più caldi per Sergio Marchionne: quello produttivo italiano, per il quale è in corso un confronto con il ministero dello Sviluppo e si attende che il governo dia segnali concreti dopo i vertici con la Fiat e i sindacati; e quello riguardante l'integrazione tra Fiat Industrial e Cnh Global, per la quale il mercato attende la data di convocazione delle assemblee straordinarie delle due società che, a questo punto, si potrebbero tenere il mese prossimo.
La novità dell'ultima ora riguarda l'incontro che Marchionne avrà con i sindacati usciti vincitori dai referendum tra i lavoratori Fiat: Cisl-Fim, Uil-Uilm, Ugl, Fismic. Il vertice, che dovrebbe svolgersi tra il 10 e il 12 ottobre, secondo indiscrezioni avrà come tema centrale il futuro di Mirafiori. I sindacati, in proposito, che conterebbero sulle pressioni verso il Lingotto e la famiglia Agnelli delle istituzioni torinesi e piemontesi (il sindaco Piero Fassino e il governatore Roberto Cota), solleciteranno Marchionne a dare un primo segnale forte sullo storico impianto del capoluogo.
«A Marchionne - spiega una fonte - sarà chiesto di scongelare l'investimento su Mirafiori e di confermare le produzioni dei due Suv compatti destinati al mercato nordamericano». In questo modo l'amministratore delegato di Fiat-Chrysler darebbe uno schiaffo ai suoi principali oppositori (Fiom e Cgil), sgombrerebbe il campo dalle ipotesi di chiusura della fabbrica e tranquillizzerebbe operai ed enti locali. I sindacati che incontreranno Marchionne sembrano essere consapevoli che, alla luce del crollo verticale del mercato, il piano «Fabbrica Italia» non ha più ragione di essere. «Se avessi pensato in grande, Fiat sarebbe fallita. La Panda non trova acquirenti; niente investimenti fino al 2014», ha ribadito l'ad in un'intervista. Da Marchionne, però, i sindacati vogliono un primo segnale concreto, in attesa di conoscere più avanti i destini di Melfi e Cassino. Il rischio, in caso di scontro e di un «no» secco dell'ad, è che tra Marchionne e Bonanni & C si spezzi il rapporto di dialogo.
Fiat-Chrysler, gruppo che ormai ragiona e agisce in termini globali, deve essere attento agli sviluppi politici ed economici nel mondo. Le imminenti elezioni americane, per esempio, rappresentano un passaggio cruciale per il suo futuro. Alcuni osservatori, al riguardo, mettono in relazione le elezioni per la Casa Bianca con la politica attendista torinese. Il top manager non può permettersi sgarbi, anche involontari, nei confronti di Barack Obama, il quale gli ha spianato la strada per conquistare Chrysler. E «pompare» ora notizie sull'utilizzo dei siti italiani come «hub» europeo per l'export di veicoli negli Stati Uniti, al posto di costruire nuove fabbriche Oltreoceano, potrebbe suonare come un assist in chiave anti-Obama per il repubblicano Mitt Romney. «È una spiegazione possibile e logica », commenta un operatore.
E ora il fronte Fiat Industrial, ovvero la proposta di integrazione con Cnh Global datata 30 maggio scorso e anticipata una quindicina di giorni prima, a livello d'indiscrezione, dal Giornale. Come detto, il mercato attende la convocazione delle assisi che si dovranno esprimere sull'operazione. E nota anche, come si afferma da qualche parte, e nonostante la fusione sia prevista entro l'anno, tempi più lunghi rispetto alle aspettative. Non mancano i critici: «Di fatto - evidenzia un osservatore - sta passando sottotraccia il fatto che la nuova entità non dovrebbe più includere la denominazione Fiat, avrà la sede fuori dai nostri confini e potrebbe togliere a Borsa Italiana circa 10 miliardi di capitalizzazione, visto che il gruppo sarà quotato a Wall Street e su un'altra piazza europea non ancora definita.

Sta così passando nel completo disinteresse l'uscita di un gruppo come Iveco dall'Italia e la perdita della denominazione Fiat». Sono sempre Fiat Spa e le sue collegate, e la possibile emigrazione della sede legale, a fare più rumore.

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