Prestito di 1 miliardo alla Cina Usa contro la Banca Mondiale

I fondi annuali, fino al 2025, per le riforme. Ma Trump è il primo azionista della World Bank e prova a opporsi

Prestito di 1 miliardo alla Cina Usa contro la Banca Mondiale

Via della Povertà è l'indirizzo della Banca Mondiale. Di miseria e miserabili si occupano dal lontano 1946, lì a Washington, da quando hanno ricevuto quel mandato da missionari della finanza in seguito ai progetti di ricostruzione post-bellica messi nero su bianco a Bretton Woods. Per decenni, un fiume di denaro si è riversato sui Paesi sottosviluppati e su quelli in via di sviluppo. Quattrini quasi regalati, anche quando i tassi erano a doppia cifra. Poi capita, proprio ora, che la banca apra l'ombrello per elargire 1-1,5 miliardi di dollari l'anno, fino al giugno 2025, alla Cina nell'ambito del cosiddetto programma «Country Partnership Framework». Che ci fa Pechino a braccetto con chi ha le casse vuote come, per esempio, la Papua Nuova Guinea, uno dei beneficiari degli aiuti? La domanda l'ha posta Donald Trump, «primo azionista» della World Bank (gli Usa hanno il 17,25%, l'Italia il 2,71%), quando ha cercato di bocciare il piano di finanziamenti al Dragone. Inutilmente. Respinto con perdite. A nulla è valso ricordare, come ha fatto personalmente il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, che l'ex Impero Celeste sta prestando centinaia di miliardi di dollari ai Paesi poveri attraverso la sua infrastruttura «Belt and Road». E' la nuova Via della Seta, e da molti è considerata l'arma con cui la Cina tiene in ostaggio - attraverso un indebitamento crescente - buona parte dell'Africa. Per The Donald si tratta di un duplice smacco: non solo il denaro dei contribuenti americani finisce nelle tasche del rivale più ostico nella partita a scacchi sul commercio, ma viene concesso nonostante al vertice della banca sieda David Malpass, un trumpiano di ferro, colui che già un paio di anni fa puntava l'indice contro Pechino accusandola di essere il più grande debitore della Banca Mondiale. Invitata a chiudere i rubinetti perché «la Cina ha abbondanza di risorse, e non ha senso prestarle soldi degli Usa, usando la garanzia del governo Usa».

Ma né il peso dell'America in seno alla World Bank, né la risolutezza anti-cinese del suo presidente sono bastate. Se non a ridurre le erogazioni rispetto alla media quinquennale precedente, pari a 1,8 miliardi. La Banca Mondiale è del resto convinta che quel denaro servirà ai cinesi per far avanzare le riforme di mercato e fiscali, combattere l'inquinamento e aumentare l'accesso dei cittadini ai servizi sanitari e sociali.

La decisione rischia però di invelenire ulteriormente i rapporti fra Pechino e Washington. Nei giorni scorsi la Casa Bianca ha punito con tasse del 100% le importazioni di metalli da Argentina e Brasile. Motivo ufficiale, la svalutazione di peso e real.

Motivo vero, gli acquisti di soia e di carne di maiale fatti dalla Cina nei due Paesi sudamericani per non soggiacere ai dazi Usa. Al di là dei ripetuti messaggi da entrambe le parti che un «accordo è molto vicino», la guerra continua.

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