«Una persona per bene con un’etica elastica». A Massimo Ponzellini la definizione, elaborata ieri da un profondo conoscitore delle vicende che lo riguardano, calza a pennello. Un personaggio brillante e gentile e spiritoso. «Dal dito medio al pollice verde» ha detto qualche giorno fa ai giornalisti mentre attraversava Piazza Affari per andare dal presidente della Consob, costeggiando la scultura del Dito di Cattelan che era stata circondata da piante e fiori. Ponzellini, presidente di Impregilo ed ex numero uno della Popolare di Milano, è così: battute folgoranti che escono con accento emiliano da un sorriso ironico sotto quella sua enorme montatura nera e squadrata di occhiali alla Onassis. Ma questa simpatia è diventata il suo limite, il muro contro il quale è andato a sbattere. Quella sua leggerezza utilizzata per affrontare i problemi più intricati, tanto di una banca quanto di una società industriale, da un certo momento è diventata insufficiente a superare situazioni complesse.
Così, nessuna pietà ieri su twitter, dove qualcuno fa i conti in tasca ai suoi tre anni di presidenza della Banca Popolare di Milano: «1,7 milioni di stipendio, 5,7 di mazzette (sono le accuse dei pm, ndr), e 800 milioni di aumento di capitale». Poco importa se la ricapitalizzazione non è colpa di Ponzellini. La simpatia non basta più. E ieri il titolo Bpm ha chiuso in Borsa in calo del 4 per cento.
I domiciliari di ieri, il Ponz, se li aspettava. Per gli stessi reati e la stessa inchiesta aveva subito le perquisizioni il 10 novembre, quando si è appreso che era indagato.
Mentre nulla faceva pensare a un calo di tensione in questa come nelle altre tante inchieste giudiziarie che Italia riguardano i rapporti tra politica, economia, finanza. E il 62enne Ponzellini conosce bene le tre discipline, economista esperto di moneta e banca, considerato assai vicino all’ex superministro Giulio Tremonti. E non è un caso che nella vicenda del finanziamento di 148 milioni dalla Bpm al gruppo Atantis i pm ipotizzano un ruolo centrale per l’ex sottosegretario di Tremonti e deputato Pdl Marco Milanese, personaggio di grande peso e notevole autonomia nell’ambito delle faccende gestite dal dicastero dell’Economia. Allievo di Prodi, Ponzellini è nato a Bologna nel 1950 da famiglia che, parole sue, «è sempre stata abituata bene».
E sempre sotto le Due Torri, si è poi sposato, e anche meglio, con la signora del caffè, Maria Segafredo, il cui nome ha tatuato sul braccio sinistro e da cui ha avuto tre figlie. Fama da tombeur de femme e passione per i motori segnano gli aneddoti emiliani dei vent’anni. Poi arriva l’ambiente del Mulino, di cui il padre Giulio (scomparso l’anno scorso) era stato uno dei fondatori e dove Ponzellini conosce Beniamino Andreatta, i cattolici dossettiani e il giovane Prodi, che lo prende come assistente al ministero dell’industria nel 1978 e lo sponsorizza: entra a Nomisma, di cui è direttore generale nel 1981, poi all’Iri. Frequenta anche i cda di partecipate come Sofin, Alitalia, Finmeccanica. Via Prodi, va via anche lui, che si trasferisce, nel ’90, prima alla Bers poi alla Bei fino al 2003.
Ma quando torna sulla scena nazionale sceglie la destra. Sotto il secondo governo Berlusconi Tremonti lo chiama alla Patrimonio Spa, poi al Poligrafico dello Stato, dove però nel 2006, con il ritorno di Prodi a Palazzo Chigi, Ponzellini deve sloggiare. Dal 2008 torna in sella e alla poltrona di presidente Impregilo somma quella alla Bipiemme, la banca dove arriva anche come banchiere della Lega, che riesce a piazzare un uomo che considera «suo» dopo averne ventilato la candidatura a sindaco di Bologna. Ma Bpm non porta bene: oltre ai finanziamenti discussi, c’è un gruppo in difficoltà. E qui Ponzellini sbaglia, forzando spesso la mano in cda incurante delle conseguenze di decisioni prese a maggioranza. Fino al traumatico divorzio di un anno fa.
Gli resta Impregilo, società di costruzioni contesa tra le famiglie Gavio e Salini. Ponzellini sta con i primi, che lo hanno messo lì e lo difendono dall’assalto dei costruttori romani. Questi hanno scalato il 30% del gruppo e chiesto da tempo la revoca del cda. Se ne discuterà all’assemblea del 12 luglio.
Ma l’impressione è che lo spazio di manovra per il presidente, dopo l’arresto di ieri, sia ridotto ai minimi termini. Come crede la Borsa che, fiutando il ribaltone, ha ieri premiato Impregilo con un rialzo del 7 per cento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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