Con Rcs la Borsa riscopre le liste nere

Rcs è l'ultimo e decisamente clamoroso caso di società finita nel mirino di Consob, per di più, ad essere precisi, con un anno di ritardo dall'inizio della crisi. Ma non di certo l'unico.
Pochi giorni fa, mentre l'editore di Via Solferino entrava nella grey list, Aedes, Biancamano e Screen Service scivolavano dal limbo della grey alla black list, mentre Beghelli accedeva direttamente a quest'ultimo elenco. In tutto sono 45 i sorvegliati speciali dell'Authority, ovvero le società suddivise tra black list (32 titoli, di cui sei sospesi, e in posizione a parte Cell Therapeutics che tuttavia, essendo un gruppo estero, non è inserita nell'elenco) e grey list (sono 13) sottoposte a obblighi di informazione più rigidi rispetto all'ordinario a seconda delle tensioni finanziarie attraversate e delle incertezze più o meno gravi sulla continuità aziendale.
A livello di capitalizzazione la rappresentatività dei «cattivi» di Borsa è relativamente modesta (si tratta dello 0,5% circa di Piazza Affari che in tutto vale 378 miliardi), ma il numero consistente (è pur sempre il 18% circa di Palazzo Mezzanotte) e la presenza di ex star del listino non può non far riflettere. A conti fatti una società su sei tra quelle presenti in Borsa (Aim escluso) vive una situazione di rischio. Una percentuale preoccupante che oltretutto comprende volti noti e nomi blasonati come Prelios (l'ex Pirelli Re, alle prese con un imponente piano di ristrutturazione), Bialetti, Seat e l'ex star delle tlc Tiscali, tutte nella black list; o appunto Rcs, Maire Tecnimont e Stefanel nella lista «grigia».
In genere, come in un racconto di Dino Buzzati, una volta entrati nei due gironi, il ritorno alla normalità è tutt'altro che scontato. E quella che avrebbe dovuto essere una situazione temporanea di crisi, si traduce fin troppo spesso in una costante nel tempo.
C'è chi come Montefibre (ex Montedison Fibre) occupa un posto tra i sorvegliati speciali di Consob da oltre un decennio. Spesso l'uscita dalla lista «nera» coincide con il trasferimento d'ufficio in quella «grigia» (ad esempio As Roma). Così come un primo inserimento nella grey list frequentemente si è tradotto in un viaggio senza ritorno nella black list (appunto Richard Ginori, revocata dalle quotazioni dopo il default di inizio anno).
A volte certo i miracoli capitano. Come per Be che, un mese fa, grazie ai miglioramenti ottenuti sotto il profilo economico e finanziario, ha detto addio al limbo della grey list. Ma l'uscita più comune dagli elenchi incriminati avviene troppo spesso attraverso la procedura concorsuale. E in effetti ben sei titoli del lungo elenco sono azioni sospese a tempo indeterminato dalle negoziazioni: Aicon, Aion Renewables, Cdc, Cogeme, Crespi e Uniland.
Nessun esito ovviamente è scontato: le liste non possono essere ritenute un'anticamera sicura del default, ma dei campanelli d'allarme, questi sì. Salvo che per gli amanti delle emozioni forti e dei distressed asset, la presenza di un gruppo tra i sorvegliati speciali di Consob dovrebbe aumentare la soglia di attenzione. Al di là dell'esito si tratta, con poche eccezioni, di titoli sottili (ovvero con un flottante rasoterra e quindi dall'elevato rischio di volatilità) e privi di una qualsiasi copertura da parte degli analisti che, in genere, abbandonano molto prima al loro destino i casi più o meno disperati.
Ma come si diceva, i miracoli possono capitare, soprattutto quando ci si crede fermamente.

E non mancano gruppi pieni di buona volontà alle prese con un rilancio industriale non sempre semplice (come Prelios o Tiscali, per non parlare di Seat Pagine Gialle, che ciclicamente ci riprova). La speranza, come recita il detto, è l'ultima a morire. Ma, statisticamente, più che a resurrezioni, la presenza sulle due liste ha portato in ultimo al default o a delisting a prezzi di saldo.

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