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Aumentano le aziende che assumono esperti per leggere i big data. Costabile (Luiss): «Vince chi ha il master»

Gian Maria De Francesco«Le imprese o sono digitali o non sono». Michele Costabile, ordinario di Marketing e di Entrepreneurship, direttore del corso di laurea in Marketing e del centro di ricerca X-ite nell'Università Luiss di Roma, non ha dubbi sull'importanza del cambiamento tecnologico. «Alcune imprese hanno fatto resistenza, ma ormai anche operatori tradizionali, ad esempio gli iscritti a Confcommercio, hanno siglato un accordo con eBay per vendere on line e avere meno problemi di invenduto», spiega.La vera sfida, sostiene Costabile, è culturale «perché non basta avere competenze tecnologiche ma saperle utilizzare e sviluppare». Ecco perché la Luiss ha lavorato su due fronti: uno didattico con il lancio delle nuove lauree magistrali per «la verticalizzazione delle conoscenze» e l'altro essenzialmente di ricerca applicata con il centro di ricerca X-ite. «Creiamo scienziati nell'utilizzo dei dati applicando a marketing e management competenze un tempo ristrette all'informatica», rimarca.Ma l'ateneo romano si è concentrato anche sulle dinamiche relazionali e sociali che, con l'avvento di Internet, mettono in grado chi è connesso di accedere immediatamente a un servizio e di valutarne la qualità, parlandone poi con altri clienti. Insomma, quello che comunemente ormai viene definita dimensione social. «Sales e key account manager, social media manager e tutte le attività di management che incidono direttamente sugli aspetti commerciali sono molto richieste: per questo abbiamo creato un master nel quale metà dei docenti sono professori universitari e metà dirigenti d'azienda, provenienti dalla direzione vendite di realtà come Pirelli, Mondadori, Coin e Banzai Media», osserva Costabile. Insomma, la tecnologia ha cambiato lo stesso approccio delle aziende al marketing e ha creato una fortissima richiesta di profili e competenze che non lavorino tanto sulla fidelizzazione ai prodotti quanto, a monte, sul coinvolgimento (in inglese engagement) tra utente e marchio.Ma quali competenze servono per inserirsi in queste nuove realtà lavorative che sono in continua ricerca di personale e che non sempre riescono a trovarlo? «È indubbio che i laureati in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche siano i profili maggiormente ricercati, ma non bisogna trascurare che si diventa leader delle società tecnologiche solo se si ha lo spessore umano e culturale che nasce da una profonda educazione classica e umanistica: c'è sempre bisogno di interconnessione tra le competenze», replica Costabile evidenziando come «negli ultimi 5 anni vi sia stato uno scostamento tra la domanda e l'offerta di lavoro preesistente dovuta proprio all'accelerazione tecnologica e non alla scarsa preparazione dei lavoratori».Il docente della Luiss è stato, negli anni scorsi, gestore del principale fondo italiano di venture capital e si è formato un'idea precisa e sicuramente non pessimistica delle potenzialità del nostro capitale umano. «Ho avuto modo di valutare 1.200 startup digitali e quindi di tastare un po' il polso dell'innovazione», afferma sottolineando che «c'è un enorme fermento anche laddove non lo si aspetterebbe: l'Università della Calabria ha creato una startup nella big data analysis che è stata selezionata da Morgan Stanley per la sua piattaforma di analisi finanziarie, mentre ad Alessandria Amazon ha trovato nuove soluzioni tecnologiche».L'importante, tanto per chi studia quanto per chi lavora, è mettersi in moto.

«Ci sono aree straordinarie di eccellenza - conclude Costabile - che hanno capito che il mondo stava evolvendo verso le competenze digitali e poi c'è l'Italia addormentata di cui parla il Censis, che vive in un limbo non nobile ma limaccioso, l'Italia che dipende dalla pubblica amministrazione».

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