È una caratteristica tipica dei governi politici: le riforme si annunciano subito, ma si realizzano poi. Al contrario quando si deve far cassa si applicano imposte da esigere subito, spesso anche retroattivamente. Il caso più eclatante fu quello dello Scalone Maroni. Era una riforma coraggiosa del sistema pensionistico, che alzava repentinamente l’età pensionabile. Il governo Berlusconi non ebbe il coraggio di far partire la penalizzazione da subito e la rimandò di qualche anno. L’esecutivo cadde e il governo che seguì, quello Prodi, cancellò lo Scalone e i risparmi previsti.Non c’è riforma sui costi della politica che non reciti la medesima scenetta: i tagli si annunciano oggi, ma (forse) si applicano dopodomani.
Il governo Monti è partito con un passo diverso. Anch’esso ha imposto gabelle retroattive: il caso delle addizionali locali maggiorate è eclatante, per non parlare di quella sugli scudi fiscali. Ma nello stesso tempo ha realizzato una riforma delle pensioni senza andare troppo per il sottile: tutto e subito. Non sembra che per la riforma del lavoro questo copione stia proseguendo. Probabilmente solo la settimana prossima sapremo i dettagli.
Ma ciò che filtra è che la riforma dispiegherà i suoi effetti solo nel 2016: quattro anni per vedere la nuova struttura dei cosiddetti ammortizzatori sociali. Da una parte si dovrebbe cancellare (meritoriamente) l’obbligo di reintegro previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori rendendo più flessibile il mercato, dall’altra si posticipa la rete di protezione per chi sta a casa. Il governo tecnico, che pure ha rivendicato con forza la sua pretesa di andare avanti anche senza il consenso delle parti sociali, rischia di comportarsi come un tipico governo politico. Vittima degli umori delle corporazioni più agguerrite. Un’altra «deriva politica» di questo governo si rintraccia nella gestione del ministero dell’Economia. Diciamo subito che la condizione di via XX settembre, se ci fosse stato un esecutivo eletto dal parlamento, avrebbe fatto gridare allo scandalo. Ma come? si tratta del dicastero chiave e non vi è una precisa linea di comando e responsabilità? Il premier Monti ha le deleghe (è bene ricordare che il ministero incorpora bilancio, tesoro, finanze), ma è impegnato su cento fronti. Uno dei suoi vice, Grilli, è ancora direttore generale del Tesoro: e dunque veste due cappelli piuttosto ingombranti. Come si fa a reggere il più importante portafoglio del Paese con questa confusione? Semplice: facendo confusione.
Come quella che è avvenuta ieri sul comportamento da tenere con le banche. Ministri e loro vice che si contraddicono. Come è inevitabile che sia quando il ministro non è full time e il direttore generale è part time. Monti comanda a via XX settembre. Ma quante riunioni ha fatto con i suoi vice? come circolano le informazioni? chi sostituirà Grilli alla direzione generale? chi si occupa della gestione delle ex partecipazioni statali? È credibile che il premier si occupi nel dettaglio di dossier ministeriali? Dal tremontismo al montismo ce ne passa.
Speriamo che non sia vero ciò che gli americani dicono della Casa Bianca: essa fa il presidente della repubblica.
Oddio speriamo che non sia Palazzo Chigi a determinare sempre e comunque le paludate e languide sorti dei presidenti del Consiglio. Ha saputo inchiodare Berlusconi a ciò che un tempo egli stesso definiva il teatrino della politica. C’è il sospetto che stia dispiegando i suoi primi malefici effetti anche sui professori della Bocconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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