Mancano pochi passi perché vada in porto il cosiddetto «Progetto Italia». Anche se, basta un solo passo falso, perché salti tutto. Cerchiamo di farla semplice. I tecnici ci scuseranno, ma spero che il lettore possa apprezzare. Il settore delle costruzioni in Italia è di una fragilità estrema. C'è un'impresa relativamente grande Salini, che comprò Impregilo; una pattuglia di taglia poco inferiore ma con conti traballanti, e una miriade di piccole e micro imprese. Una di queste aziende, storiche, di una famiglia come si deve, con bellissimi contratti vinti all'estero, ma che non ha retto la crisi, è la romana Astaldi.
Progetto Italia, in fondo, è il tentativo di mettere insieme un gruppetto di persone interessate al settore: Salini, capofila, Astaldi, nel ruolo di salvata prima di essere sommersa, le banche che hanno crediti dubbi nei confronti di tutti e la Cassa Depositi & Prestiti. La manona pubblica che servirebbe da collante per il progetto. Mal calcolata questa operazione dovrebbe, con altri relativamente piccoli innesti, generare un gruppo da una quindicina di miliardi di fatturato e ordini già in portafoglio per una sessantina, con un patrimonio vicino ai cinque miliardi. Non si tratta ancora di una dimensione da favola.
Questo è un settore dove se sbagli, o hai le spalle larghe o muori: parliamo di grandi opere, di contratti in giro per il mondo da miliardi. Basti pensare a cosa sta succedendo ai contratti vinti congiuntamente da Salini, quotata e in bonis, con Astaldi, in procedura diciamo così prefallimentare: rischiano di essere bloccati per il flop di uno dei partner in affari. Ecco perché la dimensione qui conta. Eccome. La quindicina di miliardi della nuova Salini&co è niente rispetto ai 41 miliardi di Vinci, i 33 di Bouyges, i 23 di Hochtief, e via andando per i campioni nazionali di cui è piena l'Europa. Il settore in Italia vale 1,4 milioni di addetti e soprattutto quando un'impresa italiana vince una commessa all'estero si porta un pezzetto di made in Italy: la filiera, il condizionale è d'obbligo, ne dovrebbe trarre beneficio.
La situazione però si è complicata. Entro il primo agosto si doveva mettere apposto la situazione societaria e poi cercare di far uscire (la diciamo male) Astaldi dalle secche giudiziarie in cui si trova. Si tratta di procedure lunghe. Astaldi è infatti quotata e ci sono assemblee dei creditori che devono essere convocate per votare e omologhe di tribunali, che ad agosto vanno in ferie. Insomma se mai si ottenesse una proroga, che in molti oggi auspicano, si andrebbe comunque alle calende greche, con lavori là fermi e in attesa di ossigeno finanziario. Che non arriva finchè non si sblocca la situazione societaria. La struttura dell'operazione vede infatti l'ingresso della Cassa con 250milioni di euro e un aumento di capitale della Salini (la capofila ovviamente di tutto e che in Borsa capitalizza circa 800 milioni) da 600 milioni. Ciò fa sì che Fabrizio Palermo e i suoi uomini controllerebbero circa il 20 per cento della nuova entità. Ma nelle ultime ore è emerso che quasi la totalità del 75 per cento del capitale non quotato della Salini è in pegno ad una banca francese. In genere i pegni si possono escutere se un titolo va male, scende sotto una certa soglia. I manager della Cassa si sono comprensibilmente irrigiditi. Insomma fare affari con un soggetto che non si sa bene chi domani possa essere, comporta qualche rischio. Ovviamente le soluzioni tecniche si possono trovare.
Resta una questione fondamentale. In questo Paese manca, nonostante una grande tradizione, un'azienda di dimensioni internazionali nel settore costruzioni, anche e soprattutto perché il mercato domestico è un grande casino: bloccato e pieno di regole. Tutti i grandi campioni europei hanno nei loro rispettivi mercati domestici una forte presenza e soprattutto le opere pubbliche si fanno. Da noi è più o meno tutto bloccato. In questi mesi, le cose sono andate anche peggio. Ci troviamo davanti a una trappola micidiale. Se il mercato domestico non inizia a rivitalizzarsi, non ci saranno mai operazioni finanziarie che tengano: quelle in essere possono solo ritardare il nostro declino. Se il mercato italiano dovesse finalmente darsi una svegliata rischiamo di vedere assegnati appalti, inevitabilmente europei, ad aziende non italiane: semplicemente perché quelle di dimensioni buone non ci sono più.
Un po' come abbiamo fatto con il fotovoltaico. La più grande bufala finanziaria della storia: in cui le bollette degli italiani hanno finanziato pannelli cinesi e tedeschi e private equity di tutto il mondo, che sono venuti qui a papparsi incentivi da favola.
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