È iniziato un pericoloso conto alla rovescia per l'Ilva. Dopo sette mesi di trattativa, nemmeno la riunione fiume (5 ore) andata in scena ieri al ministero dello Sviluppo economico ha portato una schiarita sulla vendita del polo siderurgico alla cordata franco indiana Am Investco (Arcelor Mittal 88%). Anzi, le parti sembrano sempre più distanti. E su Taranto è pronta a esplodere una bomba ad orologeria. Quella che il ministro Calenda ha definito settimana scorsa «Una Bagnoli 2 con 20mila posti di lavoro a rischio».
Se non si troverà un accordo a breve la trattativa andrà, infatti, a monte. Tre le incognite che mettono a rischio il futuro dell'Ilva, a partire dall'incertezza politica data dall'affermazione alle urne del M5S e dalle difficili trattative in corso per il nuovo governo. Il 23 maggio, invece, l'Antitrust Ue dovrà esprimersi sulla fattibilità della cessione dell'Ilva al colosso franco indiano; mentrte a giugno rischia di finire la cassa a disposizione dei commissari straordinari.
Ma quali sono i punti dello scontro con i sindacati? Tutto gira intorno ai 4mila dipendenti che al momento resterebbero fuori dall'accordo. Sui 14.200 totali in forza negli stabilimenti siderurgici Am Investco ne garantirebbe 10mila, gli altri andrebbero in cassa integrazione. Un punto su cui i sindacati non transigono, così come sul fatto che con il passaggio da Ilva in amministrazione straordinaria ad Am Investco i dipendenti non siano riassunti con il Jobs Act, ma mantengano i loro contratti e l'anzianità. «Come abbiamo cominciato, abbiamo finito. Le condizioni non si sono modificate. Per noi rimangono fermi i 14mila lavoratori da assumere in Mittal ed il mantenimento dei contratti normativi ed economici in essere. Ci hanno chiesto l'11 aprile di rivederci e lo faremo per cortesia istituzionale ma ribadiremo la nostra posizione. O il governo con Mittal cambia i punti dell'accordo o per noi non ci sono le condizioni», ha commentato lapidario il segretario nazionale della Fiom, Rosario Rappa. Sulla stessa linea Rocco Palombella, segretario generale Uilm, uscendo dal ministero: «Cè stato un momento in cui pensavamo di interrompere la trattativa, ma abbiamo deciso di rivederci l'11 aprile, con l'intesa che l'azienda sia allora disponibile a modificare la sua impostazione». Insomma per i sindacati sarà Arcelor a fare un passo indietro e a cedere sui 4mila posti contesi. Secondo fonti vicine alla vicenda questo è possibile «ma sicuramente la cordata acquirente non garantirà l'assunzione di tutti i dipendenti. Più probabile che si trovino soluzioni intermedie, al momento allo studio».
Da parte sua il governo uscente per voce del viceministro Teresa Bellanova si dice comunque ottimista e con un tweet chiarisce che «esiste uno spazio utile di trattativa e confronto per giungere in tempi ragionevoli ad un accordo tra le parti».
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