Non è giustizia quella che ammette la violenza

Dire che il comportamento della donna "non era irreprensibile" equivale a suggerire, neanche troppo velatamente, che esistano donne che meritano di essere picchiate

Non è giustizia quella che ammette la violenza
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Caro Feltri,
vorrei conoscere la sua opinione su una sentenza che sta facendo discutere e che, a mio avviso, rappresenta un vergognoso passo indietro sul piano civile, culturale e giuridico. Un uomo, condannato per aver aggredito violentemente la moglie, ha ottenuto uno sconto di pena con una motivazione che lascia allibiti: il giudice ha ritenuto che «l'aggressione non fu premeditata ma determinata da uno stato d'ira suscitato dalla scoperta del tradimento da parte della moglie, il cui comportamento non può dirsi irreprensibile».
È possibile che nel 2025 si stia ancora scrivendo nero su bianco, in un'aula di tribunale, che un'aggressione può essere in qualche modo «giustificata» dal comportamento di una donna?
Mi dica lei, Vittorio: siamo tornati all'epoca della pietra?

Mario Asciutto

Caro Mario,
hai perfettamente ragione a indignarti, e lo faccio con te, senza mezzi termini. La sentenza a cui fai riferimento è uno schiaffo alla giustizia, un insulto al buon senso e una ferita alla dignità femminile.

Dire che il comportamento della donna «non era irreprensibile» equivale a suggerire, neanche troppo velatamente, che esistano donne che meritano di essere picchiate. E questo, mi sia consentito, è inammissibile. È un abominio giuridico.

L'aggressione di un uomo verso una donna non è mai giustificabile. Mai. Neanche quando c'è di mezzo un tradimento, neanche quando c'è una delusione, una provocazione, una crisi. Viviamo in uno Stato di diritto, non in un suk tribale dove l'onore si lava col sangue. Se un uomo scopre di essere stato tradito, ha mille modi per reagire, ma non ha alcun diritto di usare le mani. Mai. Punto.

E invece cosa fa il giudice? Scrive che la colpa è sì dell'aggressore, ma un po' anche della vittima, perché «non è stata irreprensibile». Ecco il cortocircuito: si colpevolizza la vittima e si offre una giustificazione morale al carnefice. Una roba che dovrebbe far tremare le vene ai polsi a chiunque abbia ancora un minimo di lucidità e decenza.

Siamo davvero tornati indietro. Dopo anni di battaglie per affermare che nessuna donna deve mai essere colpevolizzata per la violenza che subisce, eccoci qua, nel 2025, a leggere in una sentenza che «capita», se ti comporti in modo discutibile, di farti massacrare dal marito. E magari, chissà, un domani ci spiegheranno che lo ha fatto «per amore».

Non so chi abbia scritto quella sentenza, ma so che è gravissima. Non tanto e non solo per lo sconto di pena, quanto per il messaggio che trasmette: che la rabbia maschile, se ben motivata, può avere una sua legittimità. E no, cari miei: la violenza non è mai legittima. Non è un diritto, è un crimine.

E non basta indignarsi.

Serve vigilare, protestare, denunciare, pretendere che la giustizia torni ad essere giustizia. Perché quando le sentenze iniziano a normalizzare la violenza, siamo già in pericolo. E il prossimo schiaffo o peggio lo prenderemo tutti. Anche quelli che oggi applaudono o tacciono. O sentenziano.

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