Economia

"Sicurezza e transizione verde per aiutare la crescita del Pil"

L'ad di CESI: "I sistemi energetici sono vitali per i Paesi avanzati. La guerra? Riduciamo la dipendenza da Mosca

L'ad di CESI Matteo Codazzi
L'ad di CESI Matteo Codazzi

In che misura la vulnerabilità dei sistemi energetici è importante per la sicurezza economica dei sistemi avanzati?

I sistemi energetici si possono paragonare al sistema cardiocircolatorio per il nostro organismo: un apparato vitale per la sopravvivenza. Le loro vulnerabilità possono avere, pertanto, degli effetti molto rilevanti sulle economie mondiali. Queste vulnerabilità sono classificabili,

fondamentalmente, in due ambiti: quelle causate da eventi interni e quelle causate da eventi esterni. Nel primo caso, ci si riferisce a quegli eventi che, incidendo sulle infrastrutture energetiche, possono condurre a interruzioni della fornitura di energia. Un esempio per tutti è quello del 2021: in due occasioni il sistema interconnesso delle reti elettriche europee è stato diviso in due grandi “isole” per evitare un blackout a livello continentale. Azione straordinaria, resa necessaria a causa dei guasti avvenuti su alcune sue componenti.

Le vulnerabilità contro gli eventi esterni, invece, riguardano gli effetti che eventi geopolitici o legati all’andamento dei mercati possono avere sui sistemi energetici. In entrambi i casi, se queste vulnerabilità non sono affrontate in modo adeguato e per tempo, si rischiano effetti negativi sia in termini di possibili interruzioni o riduzioni nell’erogazione delle forniture di energia sia in termini di aumento dei prezzi, con conseguenti ripercussioni su imprese e cittadini.

Come impattano le attuali situazioni di elevata instabilità internazionale in Europa sulla nostra sicurezza energetica?

Le gravi tensioni dovute al conflitto in Ucraina, e le relative sanzioni economiche imposte alla Russia, sono un esempio emblematico di vulnerabilità esterne. Il loro impatto, insieme all’aumento della domanda di energia, ha contribuito al rialzo dei costi di gas, benzina e materie prime, evidenziando, per la prima volta in modo drammaticamente concreto, la nostra dipendenza energetica dalla Russia. Si pensi che, nel 2021, il 38% del gas importato nel nostro Paese proveniva dalla Russia e, più in generale, su 76 miliardi di metri cubi di gas consumati in Italia, oltre 72 miliardi di metri cubi sono stati importati dall’estero.

In queste settimane, gli effetti principali di tale dipendenza si manifestano attraverso l’aumento eccezionale del prezzo del gas, che in Italia ha raggiunto una media di oltre 150 €/MWh, a fronte dei 18 €/MWh di un anno fa, una crescita dell’800%. Rincari che si ripercuotono anche sul prezzo dell’elettricità. A marzo, il Prezzo Unico Nazionale (PUN) dell’energia elettrica ha registrato una media di 360 €/MWh, raggiungendo il record di 688 €/MWh l’8 marzo. L’anno scorso, la media si attestava sui 60 €/MWh.

Come coniugare sostenibilità della transizione e sicurezza energetica in questa fase?

Nel brevissimo termine, come indicato dal ministro Cingolani, le scelte per ridurre la dipendenza dalla Russia sono pressoché obbligate: aumentare la diversificazione degli approvvigionamenti di gas utilizzando al massimo sia i rigassificatori esistenti che i gasdotti sulle frontiere meridionali dell’Italia, aumentare nei limiti del possibile l’estrazione di gas nazionale e ricorrere temporaneamente a un maggior utilizzo delle centrali a carbone. Peraltro, nel breve, il problema non sono le infrastrutture di importazione perché, anche col rubinetto russo chiuso, avremmo teoricamente, sulle restanti frontiere, una capacità di import superiore al nostro fabbisogno. Il problema è trovare fornitori, e a quali prezzi, disponibili a fornirci gas aggiuntivo da importare. Sul medio termine, invece, le alternative sono senz’altro maggiori, ma vanno valutate rapidamente e con decisione. Per coniugare sicurezza e indipendenza energetica con la decarbonizzazione, le soluzioni più efficaci e implementabili sono due: il risparmio energetico e le rinnovabili. Secondo la IEA (International Energy Agency), diminuendo il riscaldamento degli edifici di soli 1,5 gradi riusciremmo a risparmiare, in Europa, più di 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno, circa il 10% delle forniture russe.

Parallelamente, si devono implementare misure per favorire l’installazione degli impianti rinnovabili. Per il 2022, la IEA prevede che l’aumento record di capacità solare fotovoltaica ed eolica e il ritorno a condizioni meteorologiche meno estreme di quelle del ’21 porteranno, in Europa, a un incremento di più di 100 Terawattora della produzione di energia rinnovabile, oltre il 15% in più rispetto al 2021. In Italia, è necessario urgentemente sbloccare i permessi per l’installazione di nuova capacità rinnovabile. Elettricità Futura, l’associazione confindustriale che riunisce i principali attori del settore elettrico nazionale, indica la possibilità concreta di poter realizzare 60GW di nuovi impianti rinnovabili in tre anni. Questi nuovi impianti farebbero risparmiare ben 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del totale del gas importato, il 50% di quello proveniente dalla Russia. Sul lungo termine possono contribuire alla riduzione della dipendenza dalla Russia anche l’aumento della produzione nazionale di gas – che nel 2012 contribuiva per 8,6 miliardi e nel 2021 per soli 3,3 miliardi mc - oppure la realizzazione di ulteriori rigassificatori, che hanno il vantaggio rispetto alle pipeline di consentire l’accesso a una platea mondiale di fornitori di gas ben più diversificata. Evidentemente, però, tali alternative non sono carbon-free come le rinnovabili o l’efficienza energetica.

Il cyber è assurto a dominio sempre più decisivo nella competizione economica. Anche le utilities sono a rischio?

Purtroppo, con la necessaria diffusione della digitalizzazione del sistema elettrico, i potenziali punti di vulnerabilità informatica si moltiplicano esponenzialmente. Ciò fa sì che il rischio di un attacco cyber sia sempre più attuale. Gli attacchi di hacker russi alla rete elettrica in Ucraina, già nel 2015, e i rapporti divulgati da Symantec sulle intrusioni del gruppo “Dragonfly”, sempre russo, su più di 1.000 società del settore elettrico europeo hanno evidenziato come l’infrastruttura critica dell’energia sia minacciata da attacchi potenzialmente disastrosi. Fortunatamente in Italia, grazie agli investimenti e alle competenze messi in campo dai grandi player nazionali che sono veramente all’avanguardia, non abbiamo finora subito danni di rilievo alle infrastrutture elettriche. Ma ciò non toglie che sia comunque necessario, oggi più che mai vista la guerra in corso, rafforzare al massimo – specie nelle utility locali - i processi e gli strumenti per la gestione della sicurezza digitale. In particolare, al fine di limitare le minacce informatiche, prima di tutto si deve ricorrere al principio del “Security by Design”, ovvero progettare la sicurezza dell’infrastruttura fin dall’inizio, per evitare l’insorgere di problemi durante la normale operatività. CESI, insieme alla sua controllata statunitense Enernex, supporta le utilities di tutto il mondo suggerendo le misure più efficaci di cybersecurity da implementare per minimizzare i rischi associati agli attacchi informatici. Sono sotto gli occhi di tutti i problemi creati dal recente attacco hacker al nostro sistema ferroviario: sebbene non riuscire a comprare un biglietto di viaggio sia senz’altro un disagio, immaginiamo cosa significherebbe per le aziende e le famiglie rimanere senza elettricità o gas.

Sicurezza e transizione appaiono, in definitiva, sempre più inscindibili. Quali sono le prospettive per il prossimo futuro?

Intanto, bisogna capire se la guerra in corso potrà causare un rallentamento nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione nel 2030 e nel 2050, già di per sé non semplici da conseguire. Il necessario passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili vedrà una sempre maggiore centralità delle aree ricche di risorse eoliche – Nord Europa, Patagonia, Corno d’Africa, Asia Centrale - e solari – Africa, Golfo Arabo, alcune aree del Centro-Sud America e dell’Asia, Australia – a scapito dei paesi con maggiore disponibilità di petrolio e di gas, come quelli mediorientali e la Russia. È evidente, pertanto, che gli equilibri geopolitici basati sulla ricchezza di fonti fossili sono destinati a essere totalmente stravolti, in un momento in cui, non a caso, la guerra in Ucraina sta portando a una forte accelerazione in questo senso.

È prevedibile, inoltre, che la transizione energetica provocherà anche un radicale cambiamento nella mappa delle dorsali di trasporto, con una perdita di rilevanza dei paesi la cui forza deriva dall’essere percorsi da pipelines, come la stessa Ucraina. A questo dobbiamo aggiungere che il controllo delle tecnologie determinanti per la transizione energetica sarà la chiave per permettere al proprio paese - o al proprio blocco economico - di ottenere un vantaggio di competitività rispetto ad altri sistemi economici concorrenti. Lo stesso vale per il controllo di alcune materie prime essenziali per la realizzazione dei componenti tecnologici abilitanti la transizione energetica.

In assenza di azioni specifiche mirate allo sviluppo di una forte leadership tecnologica europea, si corre il rischio di ripetere quanto già successo in passato: le risorse pubbliche finalizzate alla transizione energetica potrebbero finire in larga parte nelle tasche, straniere, di chi controlla e produce le tecnologie chiave, rafforzando ulteriormente sistemi politico-sociali da noi distanti.

Bisogna essere, quindi, ancora più realisti e pronti, soprattutto alla luce del conflitto in Ucraina, nel compiere quanto prima quelle scelte di politica industriale che portino a un’indipendenza energetica europea, unita a una sua forte leadership tecnologica, pena subirne gravi danni per il tessuto economico-produttivo del nostro Continente.

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