Non basta più vendere biglietti aerei al prezzo di una pizza al trancio per garantire il successo di una compagnia low cost.
Ryanair, l'antesignana dei voli «no frills», senza fronzoli, ha chiuso il trimestre in rosso per la prima volta dal 2014 (con una perdita di 19,6 milioni dai 105,6 milioni di utile di un anno fa) e ha annunciato una profonda ristrutturazione che, suddividendo il gruppo in quattro unità operative coordinate dal fondatore Michael O'Leary, dovrebbe garantire fino al 2024 uno spazio di manovra operativo più rapido. La concorrenza non attraversa momenti migliori: Primera Air e Cobalt sono andate in default; Wow ha dovuto rivedere al ribasso i propri piani; Flybe, tra le principali rivali della compagnia irlandese di O' Leary sui voli all'interno del Regno Unito, è stata acquistata a un prezzo d'occasione da un consorzio guidato da Virgin Atlantic per evitare la bancarotta. Senza dimenticare Norvegian Airlines, la prima compagnia aerea low cost a proporre i voli tra il Vecchio e Nuovo Continente, che ha dovuto lanciare un aumento di capitale da 300 milioni per sopravvivere una volta tramontato l'interesse del colosso Iag che ne aveva acquisito il 4% del capitale.
Il fatto è che i voli delle compagnie low cost sono complessivamente pieni, ma la tariffa media pagata dai passeggeri è dovuta scendere così tanto (-6% quella di Ryanair solo nell'ultimo trimestre), per accaparrarsi nuove quote di mercato ed eliminare la concorrenza (Ryanair è ormai leader in Europa, mentre Norvegian con 1,67 milioni di passeggeri transatlantici nel 2018 ha superato big come Emirates e Lufthansa), da non rendere più così redditizio volare. Tanto più quando, a vent'anni dall'avvio della rivoluzione delle low cost, i sindacati hanno iniziato ad alzare la voce con scioperi che hanno portato a cancellazioni di voli in tutto il Vecchio Continente e a salate ripercussioni legali per le compagnie coinvolte. E in effetti, a fronte di una perdita di poco meno di venti milioni, Ryanair nel trimestre appena chiuso ha registrato un giro d'affari di 1,53 miliardi in crescita del 9% grazie a 32,7 milioni di passeggeri (da 30,4 milioni di un anno fa) che hanno persino speso il 26% in più (per 557 milioni) in servizi accessori, dai bagagli in stiva agli snack a bordo, ma tutto questo non è bastato, a far chiudere in nero il periodo su cui hanno inciso, oltre al calo delle tariffe, un aumento dei costi operativi del 20% (a 1,54 miliardi) causato soprattutto dai maggiori costi del carburante (+32%) e del personale (+31%).
Le low cost potrebbero dunque essersi spinte troppo in là con la riduzione dei costi per attrarre nuovi clienti grazie a prezzi rasoterra. Ma per essere sostenibile il business si regge su due pilastri: evitare di peggiorare le condizioni di lavoro del personale e non rendere e ancora più spiacevole l'esperienza di volo o il rischio è quello di non poter far altro che tagliare sempre di più le tariffe medie posto che il solo valore riconosciuto dai passeggeri è, per l'appunto, il prezzo basso.
Ryanair insegna: la controversa tassa sul bagaglio in cabina, in vigore dallo scorso autunno, non ha ottenuto l'effetto sperato sugli utili trimestrali ma ha solo contribuito ad aumentare le beghe legali e a rendere il brand ancora più inviso ai viaggiatori. In questo scenario non è un caso che O' Leary ieri abbia ipotizzato una ulteriore riduzione delle tariffe medie che potrebbe portare, nel breve termine, a un'altra revisione al ribasso delle stime.
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