Economia

Sulle venete si punta a chiudere a settembre Ma quella di Intesa sarà una prova a slalom

I paletti dell'Europa e i deteriorati. Lo Stato verso un esborso da 5 miliardi

Massimo Restelli

Intesa Sanpaolo è uscita allo scoperto, ma la strada di Carlo Messina per rilevare a un euro i soli asset in bonis di Veneto Banca e Popolare Vicenza, resta piena di ostacoli, sia giuridici sia politici. A partire dalla sorte del decreto legge, atteso lunedì dopo l'esito dei ballottaggi amministrativi, che modificherà il «Salva risparmi». Non solo i tecnici del Tesoro stanno cercando la stesura tecnica per avviare la liquidazione coatta amministrativa, dribblando il divieto dell'Europa agli aiuti di Stato ma il decreto dovrà superare il vaglio del parlamento. La conversione del decreto, a meno di imprevisti, dovrebbe avvenire entro luglio così da consentire a Intesa di trattare con la Ue (con cui ci sono stati abboccamenti informali) e chiudere l'acquisizione a settembre.

Messina ha infatti subordinato l'«efficacia» della propria offerta d'acquisto a un quadro legislativo «definito», che assicuri la copertura degli oneri di integrazione. In sostanza il decreto legge non basta e lo Stato dovrà finanziare il Fondo esuberi, allungandolo a sette anni, così da acconsentire al neogruppo di pre-pensionare 4mila addetti circa. Attesa una razionalizzazione delle filiali a nord est; mentre ci sarebbero fondi interessati alle controllate Banca Nova e Apulia.

Il problema principale resta comunque smaltire 11 miliardi di deteriorati di Vicenza e Montebelluna: malgrado le svalutazioni effettuate dalla gestione Atlante, gli npl sono ancora in bilancio al 60% (6,6 miliardi). Macerie destinate a finire in una bad bank, sempre sostenuta dalla mano pubblica: se fosse replicato lo schema di CariFerrara il prezzo di cessione sarebbe il 19% del valore di libro (1,2 miliardi), aprendo così un ammanco di 4,4 miliardi. Compensato solo in parte dall'azzeramento dei bond subordinati (1,3 miliardi), previsto dalla normativa, dei due istituti veneti. Cui aggiungere la spesa, sempre a carico dei contribuenti, per il fondo esuberi: ogni anno di permanenza il costo per addetto costa circa 56mila euro (39.500 di assegno pensionistico e 16.500 di contributi). Considerando che la platea potenziale nel «nuovo» gruppo Intesa dovrebbe essere di 3.500 addetti, si arriva a 196 milioni annui, e quindi a un massimo di 1,4 miliardi sui 7 anni di scivolo. Insomma per salvare le due malate del nord est gli italiani sborseranno 4-5 miliardi.

Ecco perché il clima in parlamento è già surriscaldato: ieri hanno alzato la voce sia Forza Italia («Intesa riceve un regalo, lo Stato si accolla la parte cattiva e il contribuente paga», ha attaccato Renato Brunetta), sia i Grillini sia l'ex vice ministro dell'Economia, Enrico Zanetti che chiede al governo Gentiloni di respingere la proposta di Intesa. Resta però il fatto che quella di Ca de Sass è l'unica offerta sul tavolo dopo la data room lampo che ha visto sfilarsi sia Iccrea sia Bnp Paribas. La mossa di Intesa, ben vista anche da Unicredit in una chiave di sistema, è stata inoltre ieri promossa dagli analisti, pur con qualche dubbio sul verdetto delle Ue: +0,7% il titolo in Borsa. I bond senior di Vicenza e Veneto Banca, a meno di sorprese al riparo dal «fallimento», quotavano invece rispettivamente 85 e 88.

Il pulsante per avviare la liquidazione coatta amministrativa dovrebbe essere schiacciato dai due gruppi malati, ponendo fine all'attuale gestione coordinata da Fabrizio Viola per lasciare spazio ai commissari.

Per Vicenza è previsto un cda martedì a Milano, probabilmente l'ultimo prima della decadenza.

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