Il "superdollaro" fa paura. Euro incollato alla parità

Per la prima volta in 20 anni il cambio scivola a 0,99 poi chiude sopra

Il "superdollaro" fa paura. Euro incollato alla parità

Ieri il dollaro per qualche decina di minuti è stato più «pesante» dell'euro. Il cambio tra moneta unica e biglietto verde è sceso a 0,9999, un valore che non si vedeva dalla fine del 2002 quando la crisi post 11 settembre convinse la Federal Reserve, la banca centrale americana, a tagliare velocemente i tassi all'1,25% mentre la Bce li mantenne fino alla fine di quell'anno al 3,25 per cento. Il maggior rendimento per chi investiva in obbligazioni dell'area euro convogliò flussi di capitali verso il Vecchio Continente, a fronte di un quadro macroeconomico che, ora come allora, non era entusiasmante. Questi vent'anni sono fondamentalmente trascorsi senza che molto sia cambiato. L'euro, che durante i giorni tristi dell'uragano subprime sfondò quota 1,60 sul dollaro, è un calabrone che non sa di non poter volare. Solo che adesso qualcuno sui mercati inizia ad accorgersene e, purtroppo, questa svalutazione frutto dei disinvestimenti da Eurolandia non è una buona notizia nemmeno per le nostre esportazioni. Ma andiamo con ordine. Da inizio anno la moneta unica ha perso oltre l'11% nei confronti del greenback, essenzialmente per 3 motivi. Il primo è legato ai venti di recessione. Domani la Commissione Ue probabilmente taglierà ulteriormente le stime di crescita 2022, già tagliate al ribasso a maggio al +2,7 per cento. Per di più, l'indice tedesco Zew, che misura l'attività economica tedesca, è crollato a -53,8 punti, il valore più basso dal marzo 2020, quando la pandemia bloccò tutto. I prezzi del gas alle stelle stanno mettendo in ginocchio Berlino e questa ne è la prova più evidente oltre al primo disavanzo commerciale in trent'anni registrato a maggio.

La seconda causa è la lentezza nell'affrontare lo scenario inflattivo. La Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi da marzo scorso ed è già arrivata da zero a 1,75% in tre mesi. Fra due settimane è atteso un ulteriore incremento di 0,75 punti percentuali quando la Bce ne avrà solo effettuato uno da zero a 0,25% il 21 luglio prossimo. Dunque, la situazione europea è macroeconomicamente compromessa perché la crescita arretra ma l'inflazione ancora no. Come accaduto nel 2011, prima dell'avvento di Mario Draghi all'Eurotower, Francoforte starà ancora alzando i tassi quando gli Usa li taglieranno per fermare la recessione prossima ventura. Il terzo motore dell'indebolimento dell'euro è la guerra in Ucraina. Non solo per i danni che ha provocato ai sistemi industriali dell'Occidente, ma soprattutto per aver riproposto uno schema politico «a due blocchi». E il blocco occidentale ha ben due valute di riserva: il dollaro Usa, misura di tutta l'economia occidentale (petrolio incluso) e il franco svizzero, bene rifugio quando il mondo sta crollando proprio per la storica neutralità di Berna. Le sanzioni contro la Russia e il venir meno degli scambi con Mosca hanno indebolito l'euro e probabilmente hanno accelerato la riduzione delle riserve in moneta unica dei Paesi vicini a Putin, a partire dalla Cina. Quello che è accaduto ieri sui mercati valutari, però, non è solo simbolico. Un euro più debole cambierà in peggio la vita dei cittadini. Agli effetti negativi dell'inflazione (+8% a giugno) causata dall'aumento dei prezzi energetici si aggiungeranno quelli della svalutazione dell'euro perché tutto quello che si paga in dollari, a partire proprio dal petrolio, costerà di più. E anche se l'export italiano potrebbe beneficiarne, sarà difficile vedere rimbalzi monstre a causa dell'aumento dei costi di produzione. I consumi sono destinati a soffrire.

Deutsche Bank prevede un periodo prolungato di deficit commerciale per Eurolandia. Da Bruxelles il vicepresidente della Commissione Ue, il «falco» Valdis Dombrovskis, ha invitato l'Italia alla prudenza di bilancio. E anche questa non è una buona notizia.

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