L'ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, si sfila dal risiko bancario europeo. Non può esserci «una evoluzione non organica del gruppo per tre-quattro anni», ha detto ieri il banchiere francese in un'intervista ad Euromoney. Escludendo così la possibilità di una integrazione con un altro istituto di credito almeno fino al 2021. «Con lo scenario attuale è difficile che qualcosa possa accadere in Europa», ha aggiunto, indicando poi che «nel medio termine l'Europa avrà banche più grandi, la Germania avrà banche più grandi». Un riferimento non casuale visto che in questi giorni si sono riaccese le voci di nozze tra Deutsche Bank e Commerzbank. E che più volte, nel recente passato, Unicredit è stata accostata soprattutto alla francese SocGen ma anche alla tedesca Commerz. E finora lo stesso Mustier aveva sempre sottolineato che ogni mossa sarebbe stata rimandata a dopo la scadenza dell'attuale piano strategico che terminerà a dicembre 2019.
Il timoniere di piazza Gae Aulenti preferisce andare avanti con le grandi «pulizie»: dopo aver deciso di svalutare per 846 milioni nei primi nove mesi dell'anno la quota nella controllata Yapi Kredi ed aumentato gli accantonamenti - in tutto circa 741 milioni - per le cause Usa contro la sussidiaria tedesca Hvb, Mustier avrebbe acceso i radar sull'Austria alla ricerca di possibili asset da mettere in vendita. Unicredit è inoltre reduce dal lancio di un bond da 3 miliardi di dollari a 5 anni presso un unico investitore istituzionale (Pimco). L'operazione, varata a novembre, è andata a segno ma a preoccupare il mercato è stato il fatto che l'istituto abbia dovuto pagare un rendimento equivalente a 420 punti base sopra il tasso euro-swap, sei volte i 70 punti base corrisposti per il bond senior da 1,5 miliardi collocato da Unicredit solo a gennaio di quest'anno. Se Unicredit accetta queste condizioni di mercato pur di collocare in fretta il bond, teme che nei prossimi mesi ci sarà un ulteriore downgrade del rating tricolore?, si sono chiesti gli investitori puntando il dito contro i capricci della politica che complicano anche eventuali manovre di avvicinamento da parte di partner stranieri.
Più pronti a ballare il valzer delle fusioni sembrano, invece, essere gli ad del Banco Bpm, Giuseppe Castagna, e di Ubi, Victor Massiah. Con una curiosa coincidenza di dichiarazioni che hanno riacceso le scommesse nelle sale operative circa un possibile matrimonio tra i due istituti teso alla creazione del terzo polo bancario italiano dietro Unicredit e Intesa: in un'intervista dell'8 dicembre, Castagna ha detto che «se nel 2019 il mercato sarà meno incerto e volatile, le performance di redditività e profittabilità miglioreranno, non è escluso che si possano aprire scenari di consolidamento».
Il giorno dopo, in un'altra intervista, l'ad di Ubi Massiah ha negato di avere trattative in corso, ha escluso un interesse per Creval o Carige, ma ha anche aggiunto che «in prospettiva sarà inevitabile una nuova fase di
concentrazione nel sistema bancario italiano». Tesi ribadita anche ieri a margine di un convegno: «Il sistema bancario «si deve consolidare ed si integrerà, noi come Ubi guardiamo a questo fenomeno e vediamo che succederà».
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