Più che le parole, contano i sorrisi. Quelli tirati e innaturali, come certe foto scattate controsole a una classe delle medie. Immagini che rivelano i veleni di un G20 che ha scavato un solco profondo tra Stati Uniti ed Europa, in un continuo e reciproco rimpallo di responsabilità sulle origini di unacrisi così prolungata da fiaccare perfino le diplomazie.
C’è solo, come d’abitudine, il comunicato finale che prova a rappezzare gli strappi chiamando l’impegno a sciogliere i nodi con la medicina del rigore e con misure (inespresse) per stimolare la crescita. Di concreto non c’è nulla,a parte i 456 miliardi di dollari messi sul piatto per irrobustire la dotazione del Fondo monetario internazionale.
Il resto è gelo nell’afa messicana di Los Cabos, asprezze varie e dispetti assortiti. Come parenti serpenti, ormai incapaci di sopportarsi. Segno che il gioco si va facendo sempre più duro, non sono mancate le entrate a gamba tesa. Obama ha visto a quattr’occhi Frau Merkel lunedì, poi si è dileguato facendo saltare, neanche fosse un tavolo da poker fra tramvieri in pensione, l’atteso vertice con gli altri leader europei. Lasciati tutti a bocca asciutta, senza almeno esibire un alibi di ferro per giustificare l’accaduto. Versione della Casa Bianca: «L’incontro è saltato perché si era protratta eccessivamente la cena di lavoro». Da Berlino raccontano però un’altra storia:è stata proprio la Merkel ad annullare il rendezvous avendo già avuto un tête à tête col presidente Usa. Come dire: l’unicoreferente con la Casa Bianca sono io. Alla fine, dopo un intero pomeriggio scandito da scuse sempre più goffe, è arrivata la notizia corredata da foto su Twitter: Obama ha trovato il tempo di sedersi al tavolo degli esclusi. Ma ormai il danno era fatto, e resa ancora più solare l’approssimazione con cui è stata gestita l’intera vicenda.
C’èchi,come il New York Times , ha interpretato la bilaterale come la prova provata della costituzione di un nuovo asse Usa-Germania. In realtà, è difficile immaginare come l’ultra-rigorismo tedesco, giusto rinfrescato coi ripetuti richiami alla Grecia a non smettere la cappa dell’austerità,possa in qualche modo coniugarsi con i reiterati inviti a spingere sul pedale di una «crescita troppo lenta» rivolti da Obama agli europei. La verità è che la Casa Bianca è terrorizzata dall’idea di veder infettata la propria economia, peraltro non dal passo svelto e con qualche disoccupato di troppo, dalle tossine del debito sovrano europeo. Un eventuale contagio ridurrebbe al lumicino le speranze di Obama di strappare un secondo biglietto per la Casa Bianca. Ecco perché il leader Usa, nel bacchettare l’Europa, si è forse dimenticato che l’America siede su una specie di Everest del debito (in maggio disavanzo di ben 125 miliardi, nonostante entrate fiscali che non si vedevano da prima della recessione) e che la miccia della crisi è stata accesa dagli americanissimi mutui subprime. Perfino l’imperturbabile Mario Monti ha alzato il sopracciglio, segno evidente che qualcosa non quadra: nell’euro zona la crisi«è un problema serio, ma non è certo l’unico squilibrio nell’economia mondiale. Quello dello squilibrio di bilancio americano che non si è riusciti a risolvere in questi ultimi anni- ha aggiunto - è un tema noto». Meno diplomatico il solitamente cauto presidente della Commissione Ue,Josè Manuel Barroso:«Non siamo qui al G20 per prendere lezioni di democrazia né di gestione dell’economia», ha ammonito senza mezzi termini.
A questo punto, è verosimile un crescendo di
tensione fino al vertice Ue di fine mese, quando i leader di Eurolandia saranno chiamati a trovare le contromisure alla crisi. Se non arriveranno, il rischio di uno sconto frontale con gli Usa diventerà ancora più alto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.