Ecostar sotto accusa: «Carlo l’ambientalista distrugge le foreste»

E il principe scivolò sul pavimento della cucina. Colpa dell’olio di palma. Sovrano assoluto dell’ambientalismo, Carlo degli Windsor ora rischia il linciaggio dai gruppi che più ama sponsorizzare. Il guaio l’ha scoperto il quotidiano di casa The Independent: ben cinque prodotti della linea di alimenti bio ed ecologicamente correct della Duchy Originals, firmata dall’erede al trono britannico, farebbero infatti uso dell’olio ritenuto il maggiore indiziato nella distruzione delle foreste. Wwf, Greenpeace, Amici della Terra e addirittura le stesse Nazioni Unite sono sul piede di guerra, visto il rispettivo impegno contro la deforestazione sistematica in corso in Borneo, Sumatra o Papua Nuova Guinea, per piantare le famigerate palme da olio. E pensare che Charles in Amazzonia c’è stato l’ultima volta meno di un anno fa: a tenere conferenze contro l’abbattimento selvaggio degli alberi (!). Incalzato dall’Independent sul contenuto di biscotti al caramello e zuppa di barbabietola, un portavoce dell’azienda principesca ha fatto mea culpa: «È vero, usiamo quel tipo di olio. Proveremo a eliminarlo del tutto dalle ricette... ».
Eppure Carlo era già caduto, almeno una volta. Quando ha annunciato che «il punto di non ritorno per l'ambiente arriverà tra 99 mesi» il mondo gli ha dato meno credito che a una profezia del mago Do Nascimento. E del resto come si può dar retta a uno che non ispira fiducia nemmeno alla propria madre. Anche Al Gore del resto, continua a lanciare appelli e a riempire stadi a cui predica «verità scomode» da trasformare in redditizi best seller. Dopo il successo mondiale con il Nobel però, non manca chi critica anche l'ex vicepresidente che, «trombato» alla Casa Bianca, sul catastrofismo ha costruito una nuova carriera. E non è certo l'unica star che ha cercato nel culto ambientale la strada per una seconda giovinezza mediatica. Ma la nemesi è in agguato anche per gli eco-vip, magari un po' bolliti, che si sono riverniciati di verde. Gli ambientalisti si spaccano e c'è chi critica le ecostar. Il settimanale Newsweek ad esempio, da sempre schierato contro il riscaldamento globale, ha messo alla berlina Barbra Streisand. A rovinarle la sudata reputazione ambientalista è stata la lunga lista di richiesta avanzate per partecipare nel 2006 a un tour di promozione di progetto ecologista a fianco di Bill Clinton: nell'elenco c'erano esagerazioni di ogni tipo. La più clamorosa: la richiesta di 120 asciugamani «appena lavati e piegati» pronti al momento dell'arrivo della cantante. Alla faccia dell'inquinamento da detersivo. E Paul McCartney? Il più verde dei Beatles non mette piede su un'orrida e inquinante auto a benzina. Ed ecco perché si è comprato l'ultimo modello iper ecologico della Lexus. Salvo poi farsela spedire via cargo volante dal Giappone. Dallo yellow submarine all'aereo nero petrolio. E poi Mary-Kate Olsen: la star della serie tv Weeds, che ha avuto un certo successo anche in Italia, è la fondatrice di un movimento chiamato Generazione Ambiente. Negli incontri a cui partecipa arriva però spesso a bordo di un enorme Suv. E vestita di pelliccia. Non si salva nemmeno Sting che, mentre «adottava» l'Amazzonia per salvarla dalla deforestazione e sfilava sui palchi di mezzo mondo con gli indios a fare da coreografia, metteva insieme un vasto patrimonio immobiliare, di cui fanno parte anche una lussuosa magione nella campagna inglese e la splendida villa in Toscana. Meglio allora la sincerità di Thom Yorke, rockstar del gruppo Radiohead, che ha ammesso di sentirsi «stressato dall'ipocrisia», perché mentre la band predica per salvare il mondo dall'inquinamento partecipa ai rock festival, vere sagre dello smog e del consumismo (come il criticatissimo Live Earth organizzato da Al Gore).
Il problema è che, col passare del tempo, il rincorrersi degli allarmi si scontra con una realtà ben più complessa.

Ieri anche Repubblica, il quotidiano italiano che più di ogni altro ha pronosticato desertificazioni e surriscaldamento globale, di fronte ai torrenti di pioggia caduta in questi giorni e ai fiumi che esondano ha pubblicato un'intervista, al ricercatore Paul Ascot, in cui si dice che «il cambiamento climatico appare sempre più imprevedibile e caotico» e che «ci vorrà qualche anno, due, tre, forse dieci perché il mutamento si delinei con chiarezza», quindi «siamo in una fase di incertezza climatica». Tradotto dall'ambientalese: siamo pessimisti, ma ancora non sappiamo dirvi perché.

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