Luca Testoni
Scorri la top 10 degli album made in United Kingdom e scopri che il rock delle chitarre sta conoscendo una nuova stagione d'oro. Merito dei Franz Ferdinand, naturalmente. Ma anche dei poco più che maggiorenni Arctic Monkeys (con il loro debutto Whatever People Say I Am, That's What I'm Not hanno venduto oltre 360 mila copie in una settimana) e degli altrettanto giovanissimi Editors. Una sigla spuntata dal nulla poco un paio d'anni fa, quest'ultima, dietro cui si celano quattro boys che hanno eletto Birmingham come propria base operativa e che hanno fatto il botto con un solo disco, l'ispiratissimo The Back Room, valorizzato da tre singoli su cui spicca Munich, una splendida "dark disco song".
E il bello è che l'album vende più adesso che l'estate scorsa quando è uscito. Qualcosa di simile a quello che era già successo con l'esordio discografico dei Radiohead.
Ascoltando gli Editors, i paragoni si sprecano, come sempre accade con una band che reclama la sua personalità, ma è di fatto appena uscita dall'anonimato.
Fin dalla prima canzone, Lights, emerge forte e chiaro la propensione verso un sound introspettivo che sembra, a suo modo, voler richiamare alla memoria Joy Division e tanto altro post-punk chitarristico d'Oltremanica nei primi anni Ottanta. Da qui nasce anche l'inevitabile similitudine con gli Interpol.
Un riferimento tutt'altro che casuale, dato che il combo statunitense è stato da più parti indicato fra i capofila di un nuovo (contemporaneo) movimento rock che pare essersi prefissato l'obiettivo di metabolizzare e rendere attuali i suoni e le atmosfere cupe, ipnotiche e decadenti tipiche di tanta new wave britannica di 20 e passa anni fa. Dai Joy Division, per l'appunto, agli Echo and the Bunnymen di Ian McCulloch.
E proprio la voce impressionista del leader della formazione di Liverpool di Ocean Rain così come il canto desolato e apocalittico del povero Ian Curtis dei Joy Division sembrano rivivere grazie alla cadenza baritonale del cantante-chitarrista Tom Smith, che riesce ad essere al tempo stesso lirico e oscuro, tormentato ed evocativo.
«Il tema ricorrente di "The Back Room"? Credo che per ogni testo un po' triste o depresso, "figlio" della nostra vita precedente in una città dura come solo sa essere Birmingham, quando lavoravamo in call center o come commessi nei negozi, ce ne sono altrettanti romantici e ottimisti. D'altronde non siamo mica depresso cronici come ci vorrebbero dipingere...», argomenta mister Smith. «Quel che conta per noi è fare rock music che possegga cuore e dia emozioni forti, ma sappia anche intrattenere e, perché no, far ballare».
Inutile sottolineare come il buon Smith si completi a meraviglia con il chitarrista Chris Urbanowicz (a suo agio nell'adottare geometrie ed effetti elettrici appresi alla scuola di The Edge degli U2) e con i due ragazzi della "macchina ritmica (il batterista Ed Lay e il bassista Russell Leech), bravi a trovarsi pronti sia quando c'è da enfatizzare i passaggi marziali sia quando si deve "commentare" i momenti più pacati.
Dopo l'esibizione di novembre al Rainbow, domani sera il post-punk melodico degli Editors trova di nuovo spazio nel ben più capiente Rolling Stone di corso XXII marzo 32 (ore 21, ingresso 15 euro).
Supporter di giornata, gli statunitense Gliss (indie-rock) e Archie Bronson Outfit (folk-art-rock).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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