Ottant’anni fa nasceva Elémire Zolla, uno dei grandi eretici della cultura ufficiale occidentale, morto da tre anni. A lui, al mistero della sua opera Grazia Marchianò, una delle più autorevoli orientaliste, la donna che lo sposò e che gli fu accanto negli ultimi 25 anni della sua vita, dedica Il conoscitore di segreti. Una biografia intellettuale (Rizzoli, pagg. 634, euro 26).
Perché questo libro? Perché il titolo Il conoscitore di segreti?
«Il libro cade nell’anniversario degli ottant’anni della nascita di Elémire Zolla, una ricorrenza che ho voluto ricordare offrendo a una nuova generazione di lettori una chiave multipla di accesso alla vita, agli scritti e al pensiero di un protagonista della cultura occidentale del secondo Novecento. Perché il titolo? In rapporto al dibattito intellettuale tardonovecentesco che in Italia, rispetto ad altri Paesi, è stato vivace ma tristemente conformista, Zolla si è posto rischiosamente su due sponde, quella essoterica della divulgazione culturale attraverso un impegno pubblicistico di battaglia, andato di pari passo con l’attività accademica (insegnò Letteratura americana aprendo il filone dell’indigenistica e degli studi comparati), con l’opera di consigliere, direttore editoriale e saggista; e la sponda esoterica esplorando, come dice la parola, le sfere più segrete della spiritualità umana, sfere che è un errore identificare tout court con quelle amministrate e controllate da logge o gerarchie religiose».
Come ha conosciuto Zolla? Prima di incontrarlo, che cosa sapeva di lui; aveva letti i suoi libri, che cosa ne pensava?
«Incontrai Zolla inizialmente nei suoi libri, verso i trent’anni. Mi aveva colpito il suo primo romanzo, Minuetto all’inferno, del 1956. Scrissi un saggio dove, accanto a Minuetto, esaminavo testi di altri narratori piemontesi versati nel demoniaco, da Calvino a Emanuelli, da Arpino a Soldati, e lo spedii a Zolla ottenendone una simpatetica, attenta risposta. Le mie scelte di studio e di vita all’epoca erano già precisate. Mi attendevano anni di ricerca in India, la pubblicazione di opere di estetica e orientalistica, e trent’anni di insegnamento universitario che credo abbia lasciato qualche segno in campi non battuti dalla filosofia in Italia. Tuttavia l’incontro con la mente di Zolla e, dal 1977, venticinque anni di vita condivisa, mi hanno dato una consapevolezza, una lucidità critica, una schiettezza umana e un coraggio che, se non gli fossi vissuta accanto, la mia natura umbratile forse non avrebbe sviluppato com’è invece accaduto».
Che cosa ha significato vivere accanto a un uomo come Zolla? Lo seguiva nei suoi viaggi, nelle sue avventure esistenziali?
«Vivere accanto a lui ha significato capire alcuni giochi su cui l’esistenza individuale, e la storia sociale si reggono. Dal 1978 al 2000 ho condiviso tutti i viaggi effettuati da Elémire in quattro continenti. Aveva una capacità tutta speciale di trarre dai viaggi e dagli incontri con gente di fuori, succhi sapidi, effervescenti e meravigliosi. Da quando lui non c’è più, cerco a mia volta di fare lo stesso».
Ha qualche ricordo particolare di uno di questi viaggi?
«Ricordo l’ultimo, nel gennaio 2000, alle Hawaii, dove ero stata invitata dall’Università. Faticai molto a convincere Elémire a seguirmi: era molto malato e visibilmente affaticato. La sua salute era compromessa già da anni, aveva problemi ai bronchi, al cuore, ai reni: viaggiare con lui, quindi, comportava una responsabilità e anche una fatica fisica. Ma rivedo ancora la sua commozione a camminare nel bellissimo parco dell’Università. Osservava i meravigliosi uccelli che c’erano lì, i colori del cielo, gli arcobaleni che si formavano mentre la luce e il riflesso della pioggia rendeva bluastre le montagne intorno. Come faceva sempre, ogni volta che partiva, si era documentato a lungo. Basti pensare che quando andammo in Giappone, aveva letto tutti e 18 i volumi dell’enciclopedia Hodesha. O ancora, quando andò a Taiwan, imparò alcuni ideogrammi cinesi che si scrisse sulle mani: in questo modo, riuscì a comunicare con un esperto di meditazione taoista. Era proprio grazie a questa incredibile capacità di documentazione, alla sua sterminata erudizione, al fatto che parlasse una grande quantità di lingue, per le quali aveva una stupefacente predisposizione, che ovunque riusciva a entrare in contatto con personaggi, saggi, religiosi che lo riconoscevano per uno di loro, lui che in Occidente era considerata soltanto un outsider».
Quando invece eravate nella vostra casa di Montepulciano, come si svolgeva la sua vita?
«Era una vita regolata e silenziosa. Elémire teneva molto alla disciplina: nessuno può dire di averlo visto in pigiama, neanche alle sette del mattino. Si alzava molto presto, si vestiva di tutto punto, leggeva la posta, i giornali, e dopo aver bevuto il thé si dedicava ai suoi studi. I pasti erano frugali, per i suoi problemi di salute. La sera andava a dormire molto presto, perché considerava le prime ore del giorno le migliori per scrivere».
Quindi non viveva fuori dal mondo, si informava, leggeva appunto i giornali, si interessava di politica.
«Certamente. Lui aveva una vera intelligenza politica, riusciva a capire i giochi esoterici che stanno dietro gli avvenimenti. E non sbagliava mai un colpo, un’analisi».
L’eclissi dell’intellettuale, nel 1959, fece scalpore per la sua carica antimoderna, tanto è vero che fino agli anni Ottanta Zolla fu praticamente emarginato dalla cultura italiana: come visse quel periodo?
«Erano gli anni, dopo il Sessantotto, in cui bastava non essere marxista per essere considerato fascista. Uno come Elémire, poi, che si occupava di religioni e metafisica... Così si mise a scrivere in inglese, che padroneggiava benissimo, e a pubblicare all’estero: “Mi sono rifugiato nell’inglese, la mia lingua materna, nel momento in cui i miei scritti in questo Paese sono diventati tabù”... Fu Marsilio, nel 1987, a pubblicare, con la mia traduzione, Archetipi, che era uscito a Londra».
Zolla e le religioni: cristianesimo, buddismo, induismo, islamismo. Qual era la sua posizione?
«Nei confronti delle religioni storiche, monoteiste e no, Zolla fu un esegeta e un critico lucidissimo e spassionato. Scrutò il problema della fede, e riconobbe la carica straordinaria di energia alla base dell’atto di fede, quale che sia il contesto religioso nel quale si estrinseca. Va da sé che personalmente si sentì affine a tradizioni religiose come il buddhismo, che sono state anzitutto delle vie di conoscenza e che nello stato mistico hanno visto l’apice dell’esperienza umana, come argomentò quarant’anni fa nell’introduzione a I mistici dell’Occidente, scandalizzando lettori autorevoli su molti fronti».
In un’epoca di scontro di civiltà come quella attuale, quale sarebbe stata la posizione di Zolla?
«L’attuale non è un’epoca di scontro tra civiltà più crudo e esasperato che in altri periodi storici, benché la globalizzazione amplifichi e inasprisca la percezione dello scontro. Zolla mise in guardia su questo abbaglio, per lo più dovuto a ignoranza di ciò che in epoche precedenti è avvenuto in zone strategiche del pianeta. Nei suoi scritti e a viva voce ha fornito preziosi elementi per scrutare le cause profonde che innescano le dinamiche dell’odio e che rendono la convivenza etnica e religiosa una mera utopia».
Che cosa pensava Zolla della cultura ufficiale, delle accademie, delle consorterie?
«Pur facendo parte della cultura ufficiale, Zolla non smise di prendere distanze accurate e inflessibili da qualsivoglia consorteria o connivenza accademica, editoriale, salottiera o di setta».
Chi è stato Elémire Zolla?
«Forse la reincarnazione di due gemelli affiatati: un dotto e un pio, complici nel ripararsi dal mondo».
Che cosa resta oggi di Elémire Zolla? E che cosa resterà di lui tra un secolo?
«Spero mi si perdoni la risposta tagliente. Oggi resta di Zolla quel che l’industria culturale decide che resti. Tra un secolo o più in là, molte cose saranno cambiate e nel caso i suoi scritti venissero riesumati, grande sarà la meraviglia che un così grande, incompreso spirito sia stato di passaggio nel Novecento».
C’è una nota amara e polemica nella sua risposta.
«Certo. Perché quando Elemire è morto, molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Dava fastidio a tanti: alla Chiesa, all’accademia, a destra e a sinistra.
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