Emanuele Filiberto monarchico «ma anche»... star

Caro Granzotto, una bella trasmissione, Vite straordinarie. Va in onda il rampollo del «ramo principale» dei Savoia, Emanuele Filiberto. Tutto bene, finché gli scappa la gaffe. Commentando il divario di indole e di educazione ricevuta dai suoi nonni, il Luogotenente del Regno Umberto e la moglie Maria José del Belgio, a richiesta della conduttrice del perché la nonna fosse un tantino «socialista», il principe/ballerino/cantante risponde «probabilmente perché era molto più intelligente». Quasi che il nonno, che se ne andò, mazziato ed esiliato dalla sua Patria, evitando una molto probabile guerra civile (la seconda, dopo quella tra fascisti e partigiani), di intelligenza ne avesse poca... A chiunque, la propria «belinata», prima o poi arriva, inesorabile...
Camogli (Genova)

Bah, belinate... non sarei così severo, caro Fassone. Che Emanuele Filiberto tenga a far sapere che suo nonno era un po’ fesso non è solo captatio benevolentiae, voglia di far breccia nel cuore antifascista e antimonarchico del pubblico televisivo (il Savoia quella strada ha deciso di imboccare: showman catodico. Ovvio che insegua l’audience e lo share, entrambi portatori di successo e di molti quattrini). Credo infatti ch’egli sia intimamente convinto che Umberto fosse un bamba e che avrebbe potuto giocarsela meglio, la corona: magari buttandosi un po’ a sinistra, hai visto mai, o monetizzando l’uscita di scena. Fosse stato furbo, insomma, non avrebbe lasciato l’Italia povero in canna. Naturalmente non si può chiedere a Emanuele Filiberto di apprezzare certe virtù - la dignità, la probità, il senso del dovere e del servizio, per dirne alcune - che al pari della poesia non danno pane. E non ce n’è nemmeno da fargliene una colpa. Lui vuole sfondare nel mondo dello spettacolo, che è tutto lustrini, paillettes e tango col casqué. Non rappresentare - a titolo grazioso, poi - la tradizione millenaria del nome che si porta appresso. E che gli torna buono, caso mai, per la pubblicità «principesca» delle olive Saclà. Però non vuole nemmeno cedere ad altri quel fardello. Della storia dei Savoia (e non parliamo di corone sul capo) ha più volte ripetuto che gliene importa un fico secco. Perché il mondo cambia e lui è allegramente figlio del mondo. Ma guai se qualcuno della sua schiatta avanza l’ipotesi di sostituirlo nel compito non facile, puramente formale e certamente non retribuito, di coltivare una memoria storica e di farsene l’ambasciatore. Un capriccio, quello di Emanuele Filiberto, che priva le celebrazioni del centocinquantenario dell’unità d’Italia di una figura riconducibile direttamente agli eventi che dei Savoia portano il sigillo. E che non potrebbe essere, in alcun modo, un Savoia che irride «quei» Savoia calcando, con movenze da soubrette, il palcoscenico del varietà.

Poco male, caro Fassone, poco male. E poi, possiamo metterci contro gli dei? I quali, allorché vogliono perdere qualcuno, mettiamo, giustappunto, Emanuele Filiberto, cosa fanno, secondo il vecchio Euripide? Dementat prius...

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