Emergenza Aids: Milano come New York

Ogni giorno due milanesi diventano sieropositivi. Ogni cinque contagi da virus Hiv, uno si trasforma in infezioni. Proprio come avviene a New York. Numeri, questi, che fanno di Milano la capitale italiana dell’Aids. Un primato che la città condivide con la regione Lombardia, che nella classifica dei contagi precede Emilia Romagna e Umbria.
I dati sono stati forniti dall’assessorato comunale alla Salute, in occasione dei vent’anni di attività dell’associazione AnlAids. Ma c’è di più: molti sieropositivi, o addirittura ammalati, non si sottopongono alle cure. «Ogni anno in Lombardia ci sono sei nuovi casi ogni centomila abitanti - spiega l’assessore alla Salute, Giampaolo Landi di Chiavenna -, ma è un numero impreciso per difetto. Abbiamo stabilito, infatti, che almeno 18mila persone non fanno ricorso alle cure». Tradotto: se in Italia il numero ufficiale dei contagi è circa 70mila casi, la realtà è di almeno 100mila persone infette. Perché se di Aids si muore molto meno che in passato, ci si ammala molto di più. «A Milano - precisa Landi di Chiavenna - non ci sono quindi solo i 9mila malati dei quali si parla, ma almeno 15mila casi di Aids conclamato. Il che significa che un infetto su cinque, in Italia, è milanese».
Colpa di comportamenti sessuali spesso superficiali - «L’Aids non appartiene più solo alla sfera dell’omosessualità - conferma l’assessore -, ma è ormai diffuso soprattutto fra gli eterosessuali, che spesso sottovalutano il rischio di rapporti non protetti» -, ma soprattutto della prostituzione in strada.
«Milano si è recentemente dotata di ordinanze che sicuramente hanno un potere deterrente, ma che da sole non bastano - precisa Landi di Chiavenna -. Bisogna affrontare il problema per fare in modo che il fenomeno della prostituzione sia controllato dal punto di vista sanitario e fiscale». Di qui l’appello a riaprire il discorso sulla legalizzazione della prostituzione. «Secondo me esistono due strade percorribili: introdurre definitivamente il reato di prostituzione, oppure legalizzare il fenomeno». E cioè creare cooperative gestite direttamente dalle prostitute, nella quali siano garantiti controllo sanitario, pagamento delle tasse e totale abolizione di qualunque forma di sfruttamento.


«Non mi riferisco alla riapertura delle case di tolleranza e tantomeno alla creazione di quartieri a luci rosse, che porterebbero in città una forma deleteria di turismo - conclude l’assessore -. Ma solo a una gestione del fenomeno più controllata. È fondamentale che le prostitute siano sottoposte a controlli medici e che paghino le tasse».

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