Emmanuel Todd: "In Europa è tempo di protezionismo"

Il sociologo francese autore di Dopo la democrazia propone per il Vecchio continente un riequilibrio degli scambi. Obiettivi? Far risalire i salari e dare stabilità interna. E senza snobbare l’Italia

Emmanuel Todd: "In Europa è tempo di protezionismo"

Parigi - «O libero scambio o suffragio universale». Emmanuel Todd pone l’alternativa in Après la démocratie (Gallimard), continuandovi il discorso aperto con L’illusion économique (Gallimard) e con Dopo l’impero (Net), mentre Tropea il 5 febbraio manderà in libreria il suo Incontro delle civiltà. Storico, sociologo, demografo, Todd osserva da diverse angolazioni politica e geopolitica. Della Francia dice: «Il partito neogollista ha rinunciato alla nazione proprio come il Partito socialista ha abbandonato la classe operaia. Chirac pare averlo fondato solo per diluirlo nell’ideologia europeista».

Come altre ideologie, essa parla sempre di diritti, mai di doveri, signor Todd.
«Ma l’europeismo, reclamando dalla Cina suffragio universale e pluralismo dei partiti, dovrebbe capovolgere la sua prospettiva».

Come e perché?
«Vista la centralità della Cina per i redditi americani ed europei, c’è da chiedersi se, per alcuni, il Pc cinese non sia un modello».

Che modello?
«La dittatura».

Senza chiamarla così.
«In Europa va sotto il nome di governance».

Sì, in Europa cresce la rivalità fra popolo e tecnocrati...
«... e diventa sempre più arduo neutralizzare il suffragio universale».

Un esempio?
«Ogni “no” ai referendum sull’Europa esaspera certi ambienti per “il cattivo uso” del voto».

Quegli ambienti riusciranno ad abrogare il diritto di voto?
«Non sarebbe facile, almeno nei prossimi dieci o vent’anni».

Ma poi?
«La società manca ormai di principi collettivi e corpi intermedi; e l’esercito di mestiere ha sostituito la coscrizione».

Humus perfetto per...
«... la possibile ascesa di conflitti di classi immature, senza programma, che genererebbero un clima di violenza e paura».

Soppresso il suffragio universale...
«... ci sarebbero tanti problemi quanti se ne risolverebbero. Ma la democrazia occupa un esiguo periodo storico e molti ne hanno fatto a meno».

Se l’Europa non subirà la «governance», che cosa diverrà?
«Fra declino americano e crescita cinese, ancora per decenni sarà la maggior concentrazione di scienziati, ingegneri, tecnici e operai».

Gigante economico, nano politico.
«Proprio l’essere massa economica così importante spiega l’euro più folle che forte. L’Europa usa la potenza per torturarsi».

E che cosa dovrebbe fare, invece?
«Diventare uno spazio dove regolare l’economia, proteggendosi dalle importazioni e dalle delocalizzazioni verso Paesi a salari bassi».

Come mettere d’accordo tutti nell’Unione europea?
«Se si accordassero le nazioni più importanti, le altre seguirebbero».

Protezionismo: ormai pareva un tabù.
«Le cito il commento di Christophe Barbier sul settimanale europeista L’Express: “Resterà da costruire un protezionismo moderato come diga che protegga per l’economia europea”».

Il protezionismo non porrebbe problemi tecnici?
«Pochi. L’Europa equilibra gli scambi con l’estero, quindi può finanziare le importazioni d’energia e materie prime».

A differenza degli Stati Uniti.
«Sì, che sono nettamente deficitari».

Il crollo finanziario ha provocato quello britannico.
«Assistiamo alla fine della concezione libero-scambista e al ritorno all’economia reale».

La crisi è solo cominciata?
«Sì. Ma il mito americano è già compromesso».

Scopo del protezionismo sarebbe rifiutare prodotti extracomunitari?
«No: mettere le condizioni per una ricrescita dei salari. Finché le frontiere restano aperte, i salari devono calare e la domanda interna ridursi».

Insomma, basta con la pressione dei salari infimi nel Terzo mondo...
«... così i redditi europei, privati e poi pubblici, potranno risalire».

Lei vuol riorientare l’economia europea!
«Per uscire dalla spirale: caccia alla domanda estera; infinita contrazione dei salari per ridurre i costi di produzione; calo derivante della domanda interna; caccia alla domanda estera, ecc. ».

Ma quanto tempo ci vorrebbe?
«All’incirca una generazione».

Come convincere i popoli dei vari Paesi europei?
«Sarebbe una scelta trasversale, della destra e della sinistra».

Come convincere l’elettore di destra?
«Parlando di una politica di legittima difesa».

Come convincere l’elettore di sinistra?
«Ricorrendo agli ideali internazionalisti, perché si tratta di difendere il contesto europeo».

Ammesso che la maggioranza fosse d’accordo, non prevede ritorsioni...
«... cinesi? Ma la Cina non può far a meno di ciò che importa dalla Germania. E dalla Francia, se si pensa agli Airbus e al nucleare. La Cina non può dipendere tecnologicamente solo da americani e giapponesi».

Lei parla di Germania e Francia come se la Lotaringia fosse realtà. Non la è.
«Specie dopo che Nicolas Sarkozy ha rovinato i rapporti fra i due Paesi».

Dunque?
«Alla Germania va riconosciuto che è il cuore industriale d’Europa, ma va spiegato che col rilancio della domanda interna europea si guadagna più che inseguendo la domanda esterna».

Se spiegare non bastasse?
«Si dovrebbero avvertire i dirigenti e il padronato tedeschi che la Francia lascerà la zona euro».

Distruggendola.
«Infatti. La Francia sarebbe subito seguita dall’Italia, più soffocata ancora dall’euro folle».

Da vent’anni l’Italia è solo una comparsa nel dibattito politico francese. Perché?
«Per via del complesso tedesco dei francesi. Uno dei grandi errori della Francia è vedersi esclusivamente un Paese del nord».

C’è dell’altro.
«Guardiamo l’Italia dall’alto in basso».

Tranne nel calcio.
«Quando la nazionale francese perde con quella italiana, la Francia capisce che la sua capacità, in ogni settore, può valere meno di quella italiana».

Certi intellettuali francesi irridevano l’Italia di Berlusconi. Ora hanno la Francia di Sarkozy.
«Altro motivo per prendere l’Italia sul serio: come laboratorio politico è in anticipo sulla Francia».

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