Enrico Ghezzi: il cinema deve riscoprire il mito

I l fuoco, l’aria, la terra e l’acqua: i quattro elementi, l’origine sacra del mondo, ci dicevano gli antichi filosofi greci, i padri della nostra cultura. Un sentimento di profondo rispetto ci coglie ancora oggi quando pensiamo al rapporto autenticamente vitale che ci lega alla natura, all’origine della vita, un tempo venerata e cantata dai poeti e dagli artisti, oggi invece spesso così trascurata, se non disprezzata e violentata.
Tornare ad ascoltare la voce degli elementi: è una scommessa molto forte e coraggiosa quella su cui vuole insistere la nuova edizione della Milanesiana, che ha aperto i battenti ieri coinvolgendo gli spettatori in un entusiasmante viaggio, attraverso la letteratura, la musica e il cinema, proprio all’interno del mondo del mito della natura. La terza giornata della rassegna (oggi alle 11 e alle 21 allo Spazio Oderdan di Porta Venezia) inaugura la sezione dedicata al cinema e - come è da prevedere se si pensa all’ideatore dell’appuntamento, Enrico Ghezzi - alla riflessione sul cinema, a partire dal confronto, nell’appuntamento di questa sera, con le opere di due autori ungheresi importanti e controversi quali Béla Tarr e László Krasznahorkai.
Ricordiamo come proprio qualche anno fa, trattando del rapporto fra mito e letteratura, Ghezzi parlasse di «rimpianto del mito»: parole forti, parole che hanno in sé il peso e la responsabilità di un progetto. «Miti nel cinema e nei film - dice Ghezzi -, i miti più presenti e ossessivi nel cinema, ma soprattutto e ancor più il cinema quale mito in sé, rianagrammarsi in sé di tutti i miti e forse l’unico mito del “presente assente”. Per questo, l’incontro finale con Chabrol, regista eminentemente e quasi automaticamnete “litografico” (cinemitografico?), si dedica precisamente al cinema stesso quale “quinto elemento”, piccolo e semplicissimo gingillo tecnico che diventa indizio di una mutazione alchemica. Ma questa è una mia (im)personale ipotesi di giocolavoro su un tema che si incrocia casualmente o necessariamente con il progetto della Milanesiana».
La sfida che, a partire da questa sera Ghezzi vuole riprendere, è proprio quella di riannodare i fili sottili fra immagine e mito, senza la volontà, però, di indicare strade da seguire o soluzioni: «Partecipo volentieri, da viaggiatore incantato, ma non propongo linee guida, se mai alludo a visioni dal finestrino di un treno che ha un suo orario, stazioni e destinazione». Fra queste destinazioni, certo, anche Expo 2015: una meta anche per il cinema. Milano, con la Milanesiana, diviene in questi giorni luogo di riflessione sull’origine e il senso delle arti, ma anche progettazione e visione «strategica» sul futuro. «Sì - continua Ghezzi -, Expo 2015. Il mito del futuro. Forse il mito più automaticamente e nitidamente distrutto nel/dal cinema. Fino ad oggi, infatti, il cinema tutto si propone a noi come un palindromo scritto o pronunciato da altri, passato istantaneo che passa e ripassa. L’aspetto (l’aspettro?) più avvenieristico del cinema, il suo futurismo, è questo». Andare al di là, dunque, di ogni commerciabilità, al di là della promozione onnisponsorizzante.

Parafrasando Jerry Lewis: importante non è inventarsi un magnifico futuro quanto costruirsi un bel passato. Ecco: Expo, cinema, 2015. Inventiamo questo passato con cui abbiamo a che fare (?): la vita».
Dalla settimana prossima appuntamenti, fra gli altri, con Ermanno Olmi, Gao Xingjian e Mario Monicelli.

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