WhatsApp, al pari di molte altre applicazioni e servizi, rilascia due tipi di novità: quelle vere e tangibili (utilizzabili da tutti) e quelle a tendere, riservate a un pubblico selezionato e che forse non verranno mai messe in produzione.
L’app di messaggistica, negli ultimi giorni, ha presentato quattro novità che lasciano titubanti. Funzionalità spacciate per nuove oppure orientate a un pubblico idealizzato.
Le quattro novità
Le riprendiamo rapidamente per rinfrescare la memoria di chi fa di WhatsApp un uso intensivo:
- sono stati aumentati il numero di caratteri con i quali descrivere i gruppi,
- si possono inviare fino a 100 foto o video in una sola volta,
- si possono aggiungere didascalie ai documenti inviati,
- si possono creare avatar personalizzati da usare come immagine del profilo o come sticker.
Procedendo nel medesimo ordine con cui le abbiamo elencate, occorre sottolineare che permettere descrizioni più lunghe dei gruppi non è utile e, se lo è, fa comodo a un numero molto ristretto di persone. Giova ricordare che WhatsApp ha oltre 2 miliardi di utenti attivi e una novità dovrebbe interessare un numero molto rappresentativo di questi.
Inviare 100 foto o video in una volta è una cosa soltanto parzialmente utile, tant’è che il precedente limite era di 30 file per invio e, per chiamarla novità di rilievo, bisognerebbe sapere quante persone hanno avuto l’esigenza, almeno una volta, di inviarne di più.
Le finte novità
Aggiungere le didascalie ai file che si inviano può essere utile, ma è una novità che non dovrebbe essere tale, perché altre app di messaggistica istantanea (Threema, per esempio) consentono di farlo da tempo immemore. Al di là di questo, se si vuole parlare di novità, allora è tale soltanto per WhatsApp.
La possibilità di creare un avatar non è nuova da qualsiasi punto di vista la si guardi: lo si poteva già fare, in modo un pochino più macchinoso, da un sottomenu delle Impostazioni dell’applicazione.
Ecco perché non sono così utili
Quelle introdotte da WhatsApp non sono novità propriamente dette (casomai sono funzionalità copiate da questa o quell’app di messaggistica) e non sono neppure sempre utili. C’è da comprendere se, dietro agli annunci rilasciati da Meta (la holding a cui fanno capo WhatsApp, Facebook, Instagram e altri prodotti) c’è soltanto marketing oppure una politica tendente alla manipolazione. Ciò che sappiamo tende verso questa seconda ipotesi.
Intanto, e anche questa informazione va incrociata con quelle disponibili, Meta ha varato le spunte blu a pagamento su Facebook e su Instagram, attingendo da una politica di Twitter nel momento in cui gli utenti ci si stanno rivoltando. E qui interviene un campanello d’allarme: Twitter sta limando la sicurezza degli utenti che non paganti, consentendo la doppia autenticazione (il tipico Sms con un codice necessario a completare la procedura di login alla piattaforma) soltanto a chi paga l’abbonamento mensile, ossia la spunta blu che tanto ha fatto e fa storcere il naso al web.
A stonare di più, però, è il fatto che Facebook sta snaturando le sue stesse origini. Ricordate la frase che si legge ovunque sulla piattaforma di Zuckerberg: “è gratis e lo sarà per sempre?”. Ecco. È una frottola.
Tutte le novità (che poi sono comodità per pochi) introdotte da Meta
sembrano avere il secondo fine della monetizzazione. Rendere imprescindibile uno strumento (in questo caso WhatsApp) a oltre due miliardi di persone e poi chiedere loro soldi per poterlo usare è una via per avere le casse piene.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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