«Entrate record e conti in ordine grazie alla Biagi»

Michele Tiraboschi, allievo dell’economista ucciso dalle Br: «La riforma del lavoro ha regolarizzato 2,5 milioni di persone. Cambiarla? La sinistra farà solo dei ritocchi»

da Roma

Si stanno decidendo le linee della politica europea per il lavoro, ma dall’Italia arrivano segnali confusi o in controtendenza rispetto alla direzione che ha preso il resto dell’Unione. La denuncia viene da Michele Tiraboschi, il giuslavorista che ha preso il testimone di Marco Biagi e che lunedì aprirà l’anno accademico della Scuola di alta formazione in relazioni industriali di Modena proprio con una lezione sullo studioso ucciso dalle Br. Se migliorano i conti pubblici - osserva - è per merito della riforma che prende il suo nome e di quelle precedenti, come il pacchetto Treu.
Professor Tiraboschi, il 2007 si annuncia un anno importante per il mercato del lavoro. Cosa ne pensa delle riforme e dei tavoli annunciati dal governo?
«Vedo poca trasparenza. Il governo Berlusconi è stato accusato in passato di avere messo in soffitta il metodo della concertazione quando invece la legge Biagi è stata concertata punto per punto con le associazioni datoriali e sindacali, quelle ovviamente che hanno voluto partecipare al confronto. Oggi invece si aprono tanti tavoli separati che sono la morte della concertazione. Le varie associazioni vengono chiamate per gruppi separati ma questo è un esercizio, tutt’al più, di dialogo. La concertazione nasce quando tutte le parti contrapposte stanno intorno allo stesso tavolo. E anche l’agenda mi pare confusa. Qualche mese fa sembrava che il primo passo dovesse essere la riforma del lavoro a termine. Ora si prospetta un gran calderone dove c’è di tutto e di più: flessibilità, legge Biagi, ammortizzatori, pensioni, testo unico della sicurezza sul lavoro, contrasto al sommerso».
Fino che punto pensa che arriverà la riscrittura delle riforme dei precedenti esecutivi annunciata dal centrosinistra?
«Realisticamente penso a pochi e mirati ritocchi cosmetici tanto per dire che si è cambiato qualcosa. Penso allo staff leasing e al lavoro a chiamata che pure sono strumenti di maggiore tutela per il lavoratore e comunque l’unica valida alternativa agli appalti fittizzi e alle co.co.co. La vera riforma che manca oggi è quella degli ammortizzatori ma non mi pare che l’attuale coalizione disponga dei numeri necessari in Parlamento e soprattutto di una idea chiara e veramente riformatrice per raggiungere questo importante obiettivo. È da almeno dieci anni che questo nodo ineludibile viene accantonato e così sarà anche questa volta».
Lei sta richiamando l’attenzione sul Libro Verde stilato dalla Commissione europea e prima delle feste ha denunciato il ritardo italiano nel dare risposte al questionario del commissario Spidla, sulla base del quale saranno decise le linee della politica europea per il lavoro. Ci sono stati nel frattempo segnali di attenzione?
«Il nostro dibattito è provinciale e da sempre poco sensibile ai temi europei. La rivoluzione della legge Biagi stava e sta proprio in questo: mettere al centro del dibattito parametri, indicatori e concetti europei. Il Libro Bianco del 2001 sul mercato del lavoro era un ambizioso progetto di comunitarizzazione del nostro vecchio diritto del lavoro. Non a caso la proposta forte del Libro Bianco era lo Statuto dei lavori, quel mix di flessibilità (anche sui licenziamenti) e tutele sul mercato del lavoro (a partire dai nuovi ammortizzatori sociali) che sta ora nella agenda europea del Commissario Spidla».
Pesano pregiudizi ideologici nell’affrontare i temi della flexsecurity anche in una forma «libera» come la consultazione pubblica lanciata dalla Commissione?
«Certamente, il nostro dibattito sulle riforme del lavoro è tutto autoreferenziale e ideologico. Del Libro verde della Commissione nessuno ne parla quando invece dovrebbe essere questo il tema centrale dei tavoli aperti dal ministro Damiano. E se non se ne parla è per una semplice ragione, e cioè perché questo Libro verde è una conferma della bontà e della importanza decisiva del processo riformatore avviato con il pacchetto Treu e rafforzato con la legge Biagi. Nessuno lo dice, ma se oggi abbiamo un miglioramento dei conti pubblici e maggiori entrate è anche perché dal 2001 ad oggi abbiamo 2,5 milioni in più di persone che lavorano regolarmente pagando le tasse e i contributi».
Nel caso italiano quali nuovi strumenti introdurrebbe per dare più sicurezza ai lavoratori flessibili?
«Dal punto di vista delle riforme del lavoro nei prossimi anni il percorso obbligato, proprio in ragione delle tendenze europee e comunitarie, sarà quello del progressivo superamento della tradizionale quanto oramai superata divisione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Nel quadro di un processo complessivo di riforma del mercato del lavoro, che è poi l’idea dello Statuto dei lavori, se prevarranno le forze riformiste rispetto a quelle massimaliste e conservatrici si può immaginare a regime uno sviluppo del quadro giuridico a sostegno delle politiche del lavoro che vada in una direzione precisa.

Verso il superamento delle categorie giuridiche della autonomia e subordinazione; garanzia per tutti i lavori di un compenso equo, proporzionato alla quantità e qualità del lavoro, e di strumenti volti ad assicurare la continuità del reddito del prestatore di lavoro. Questo comporterà anche aprire ai licenziamenti e rivedere il famigerato articolo 18».

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