Calcio, un Titanic senza più spirito di appartenenza

Gli interessi personali anteposti sempre da singoli e club alla maglia azzurra

Calcio, un Titanic senza più spirito di appartenenza
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Che fine ha fatto la nazionale di calcio? Che fine ha fatto il calcio? Dove sono i campioni? Dove i grandi dirigenti? Troppe domande, nessuna risposta se non tentativi di fuga, ipocrisia spacciata per verità assoluta e trasparente, linguaggi triviali, per ultimo l'esonero del primo allenatore, appunto quello che guida la squadra più importante e viene licenziato lasciandolo alla berlina stasera a Reggio Emilia, finale farsesco e anche codardo di chi mai ha voluto affrontare la realtà ma si è nascosto. L'epilogo di una calda domenica di giugno rientra nel copione scritto dagli attori di questo sport magnifico ridotto a mercato scurrile, specchio di un Paese che fatica ad esaltare il senso di appartenenza, la fedeltà è la stessa dei marinai che giurano amore ad ogni porto di attracco, calciatori che rifiutano la maglia azzurra che altro sono se non disertori, leggi Acerbi. Genitori che versano denari per fare assumere i propri figli da qualche squadra di campionati minori che altro sono se non lenoni di minori, ex campioni, leggi Bagni, che chiedono euro in cambio di un posto di lavoro non sono forse sfruttatori? I calciatori, già carichi di soldi, dico Tonali, Fagioli, scommettono su tutto e poi recitano da vittime, con la complicità di chi sapeva ma non diceva, il silenzio non degli innocenti ma dei colpevoli. È un sistema alla deriva, un Titanic sul quale continuano a ballare tutti, compresi noi dell'informazione, pusher di notizie drogate, alimentatori di sogni fasulli.

Spalletti ha concluso la sua carriera azzurra prima ancora di incominciarla, oggi è lui da titoli in prima pagina, sale verso la ghigliottina e davanti a lui erano molte, troppe a sferruzzare aspettando che l'esecuzione avvenisse, classico comportamento italiano, da piazza Venezia a piazzale Loreto è un attimo. La ricerca di un successore, di un erede, di un nuovo allenatore è un gioco stupido che sfiora l'osceno perché non è questo il problema, è il sistema Italia ad essere finito su una zattera dopo avere attraversato mari e oceani su panfili e navi da crociera, oggi il calcio vive il peggiore momento, fratelli d'Italia è un partito politico ma nello sport, nel football azzurro è un inno che, dopo il sì aggiunto conclusivo però mai scritto e mai presente nel testo da Goffredo Mameli, un secondo dopo è un sciogliete le righe, ognuno per sé e tutti per nessuno, la federazione gestisce potere, la lega di serie A prova a imitarla, i club sono intossicati di debiti eppure si continua a banchettare come se nulla sia accaduto e nulla possa ancora accadere, nemmeno le lezioni drammatiche del Brescia e della Spal, cancellate dal professionismo serviranno a un momento di riflessione, la coda davanti all'ufficio dell'Erario è lunghissima, i presidenti chiedono agevolazioni fiscali dopo aver speso la qualunque, i calciatori esigono compensi fuori registro stimolati da agenti e procuratori complici degli stessi dirigenti, un club storico come la Juventus è a processo penale, per la gestione folle dei suoi ex manager tra i quali un erede della dinastia Agnelli, altre società illustri sono sul rasoio per bilanci opachi, il silenzio e l'omertà coprono operazioni che in altri settori imprenditoriali porterebbero alla galera, dicono che il calcio sia un circo ma non diverte, è un mondo che vive una propria vita, distante dalla realtà quotidiana, corre ad una velocità non regolare, sono saltate le marcature del rispetto, della professionalità che non va confusa con il professionismo, l'Italia s'è desta soltanto nel canto ma nei fatti ronfa in un letargo, sicura che molto, a volte tutto, le è dovuto.

Oggi si fanno paragoni tra Sinner e gli azzurri del calcio, sport singolo e sport di squadra, una truffa, un inganno, la prestazione del gruppo può mascherare le deficienze dell'individuo ma non può e non deve essere vero il contrario.

Resta il gusto amaro e il fastidio di essere derisi da francesi e inglesi, spagnoli e tedeschi, siamo accerchiati dalle pernacchie, si ritorna ai mandolini e alla tarantella, i titoli vinti sono impolverati o arrugginiti, una frase ingenua di Donnarumma può servire da didascalia a questa commedia: «Non ho mai giocato un mondiale», l'ammissione di qualcosa di strano ma che è risultato dell'improvvisazione, della demagogia, dell'assoluta assenza di competenza e perizia amministrativa, politica, potrei dire sociale, di chi ha in mano il pallone e continua a scalciarlo, infine facendolo esplodere. La crisi di rigetto è evidente, al di là della propaganda dei media, soprattutto televisivi là dove l'enfasi maschera la faziosità e l'incompetenza. Tranquilli, la commedia continua anche senza Spalletti.

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