Il termine «eresia» evoca immagini e pensieri assai inquietanti: divisioni, lotte, processi, condanne. Eppure, leggendo linteressante volume di Michel Théron, Piccola enciclopedia delle eresie cristiane (il melangolo, pagg. 300, euro 20), il primo moto che si prova è quello di una sorta di ilarità. In effetti, non si può non sorridere nellincontrare i baculiani, che si astenevano dalluso di qualsiasi arma, ad eccezione di un semplice bastone, o i condormienti, i quali, nella Germania del 1200, usavano giacere in totale promiscuità, forse per mettere alla prova la fortezza sia dello spirito, sia della carne, o, ancora, gli eliciti del VII secolo, che glorificavano Dio girando su se stessi, o gli sfrontati, che nel 500 amministravano il battesimo marchiando a fuoco la fronte dei catecumeni.
Certo, loriginalità, la stranezza e labbondanza delle eresie che sono sorte sul grande tronco del cristianesimo non costituiscono un buon motivo per confinare una questione molto seria, quale è, appunto, quella delleresia, fra le curiosità della storia, non fosse altro perché dietro a ciascuna di queste definizioni (Théron ne elenca più di 170!) ci sono uomini e donne dalle convinzioni sincere, ci sono scontri spesso asperrimi, ci sono sofferenze molto profonde, ci sono dibattiti teologici di primordine. Eppoi, oltre alla dimensione più squisitamente umana del fenomeno, ve nè una culturale di grande rilievo, riguardante proprio la definizione e lidentità stessa delleresia, ovvero che cosa essa sia stata e che cosa abbia rappresentato lungo i secoli della storia del cristianesimo.
A questo riguardo, basta pensare allenorme importanza avuta dal protestantesimo in epoca moderna, o, risalendo più indietro nel tempo, alla rilevanza dello gnosticismo, dellarianesimo o del pelagianesimo. La parola «eresia» deriva dal verbo greco airéo (prendo, scelgo) e, presso gli scrittori classici, sta a significare lazione del prendere, dello scegliere una parte piuttosto di unaltra. Tale definizione mostra immediatamente come il concetto di eresia si colleghi a quello di opzione parziale che viene effettuata rispetto a un tutto, a un intero che rappresenta la pienezza della verità. Già San Paolo, nel capitolo quinto della Lettera ai Galati, fra le cattive opere cita proprio le eresie, intendendo con esse le fazioni, le tendenze separatistiche di chi si allontana dalla vera dottrina. Peraltro, lo stesso Apostolo, nellundicesimo capitolo della Prima Lettera ai Corinti, riconosce alle eresie una funzione paradossalmente positiva: «È necessario infatti - scrive - che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi».
Come è noto, non è facile offrire una definizione univoca delleresia: secondo il Magistero cattolico essa coincide con «una dottrina che si oppone immediatamente, direttamente e contradditoriamente alla verità rivelata da Dio e proposta come autentica dalla Chiesa» (A. Michel, nel Dictionnaire de théologie catholique). Ha scritto a questo proposito Piero Coda, uno dei maggiori teologi italiani contemporanei: «In particolare, nel cristianesimo antico, \ indica una opposizione agli insegnamenti dei concili e allopinione comune dei Padri della Chiesa. Gli stessi Padri della Chiesa dei primi secoli ritenevano che lortodossia, cioè la retta interpretazione della fede, costituisse il momento iniziale del credo cristiano; che leresia ne rappresentasse la successiva deformazione o deviazione; e che a essa seguisse, immancabilmente, il ritorno pieno allortodossia, grazie allazione dello Spirito Santo nella Chiesa, come credenza conforme ai dogmi, che la Chiesa, depositaria del patrimonium fidei, ufficialmente stabilisce. Si può senzaltro affermare - conclude Coda - che generalmente, nella fissazione del dogma è sempre almeno implicito anche il rifiuto di una corrispondente eresia».
Intorno a questo punto di vista, che è quello proprio dellautorità cattolica, si sono sviluppate innumerevoli discussioni e non è mancato chi ha contrapposto la positiva vivacità delleresia alla fredda immobilità del dogma, ed è persino troppo ovvio ricordare che leretico ha costantemente ritenuto di trovarsi dalla parte del vero. Lo stesso Théron non nasconde la sua simpatia per la multiforme varietà delle eresie, ben diversa dalla verità, «data dallalto in basso... da ripetersi meccanicamente», la quale, secondo il nostro autore, ha molto a che vedere con la dimensione del potere che caratterizzerebbe la Chiesa di Roma: «In effetti - afferma nella Prefazione -, molto presto la Chiesa romana si è accaparrata e ha confiscato la cattolicità». Théron ravvisa nelle eresie una sorta di opportunità, una chance, e pertanto a suo giudizio «non bisogna deplorarle, fremere dostilità o sospirare dal fastidio nellevocarle, ma al contrario apprezzarle» perché esse manifestano «loriginaria condizione di effervescenza intellettuale che precedette linstaurazione del pensiero unico».
Le prime grandi eresie risalgono allepoca patristica, che coincide allincirca con i primi sei, sette secoli della storia della Chiesa: esse riguardarono soprattutto la persona di Gesù Cristo e la Trinità. In epoca medievale spicca leresia catara e fra Tre e Quattrocento si impongono le personalità dellinglese John Wyclif e del boemo Jan Hus, che possiamo considerare con una certa approssimazione due precursori della Riforma protestante. Proprio questultima, iniziata da Martin Lutero nel 1517, si presenta come la grande eresia dellepoca moderna.
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