Un errore? Forse, ma questo non è razzismo

È possibile, forse probabile, che i due romeni arrestati per lo stupro nel parco romano della Caffarella siano innocenti: l’esame del Dna li scagiona. Per alcuni giorni sono stati indicati come sicuri colpevoli. Per questo è scattato un altro j’accuse, nei confronti dei media e più in generale di una società che si ritiene gravemente malata di pregiudizi razziali. La sintesi brutale è questa: li abbiamo sbattuti in prima pagina perché romeni. Vediamo se le cose stanno proprio così.

Una prima osservazione. I due romeni non sono stati indicati come colpevoli dai giornali, ma dalla polizia e dalla Procura della Repubblica. Sono fonti di informazione attendibili la polizia e la Procura? In genere sì. Certo anche i poliziotti e i magistrati possono sbagliare. Tuttavia si tenga presente, in questo caso, che: 1) la vittima dello stupro aveva riconosciuto i due romeni; 2) uno dei due arrestati aveva confessato. Di fronte a due fatti del genere, vi pare azzardato, da parte di polizia e Procura, procedere all’arresto?

Ieri Piero Sansonetti, ex direttore di Liberazione, sul Riformista ha scritto che «la polizia, con ogni probabilità, ha estorto una confessione falsa al giovane romeno». È un’accusa grave della quale Sansonetti si assumerà la responsabilità, nel caso si rivelasse infondata. Nel caso invece si rivelasse fondata, ci permettiamo di dire che ad assumersi la responsabilità dovrà essere la polizia, non i giornali. Nel dubbio, l’affermazione di Sansonetti ci pare comunque azzardata, anche per un motivo molto semplice: la polizia, prima ancora di procedere all’interrogatorio che si sarebbe poi concluso con una confessione, aveva già disposto l’esame del Dna. Perché estorcere una confessione che sarebbe poi stata sicuramente smentita?

Il caso è dunque molto meno semplice di quel che si vuole far credere. L’articolo di Sansonetti s’intitolava «Sbatti il mostro romeno». Ventiquattr’ore prima, un commento analogo era apparso su La Stampa a firma di Riccardo Barenghi, ex direttore del Manifesto: «Sebben che siam romeni», era il titolo. Il tema - attenzione a non criminalizzare i romeni - è stato poi ampiamente sviluppato ieri in un profluvio di dichiarazioni tutte improntate all’«allarme razzismo». Il mondo dell’informazione «deve fare un esame di coscienza», «si rovina la vita delle persone e nello stesso tempo si diffonde il razzismo», ha detto la radicale Rita Bernardini. «Il virus dell’intolleranza è entrato nelle arterie del mondo dell’informazione», ha aggiunto il parlamentare dell’Italia dei Valori Giuseppe Giulietti. «Non si fa giustizia sbattendo il mostro in prima pagina», ci ha ammonito Livia Turco del Pd.

«Sui romeni l’informazione diffonde messaggi di xenofobia», ha sentenziato Sergio D’Elia di Nessuno tocchi Caino. Questa sera poi si cimenterà sul tema Santoro («Arrivano i mostri», è il titolo di Annozero), e non ci vuole frate Indovino per immaginare il tenore del pacato dibattito che ne sortirà. Insomma sta passando, in ossequio all’ormai consolidato razzismo alla rovescia, il seguente messaggio: i due romeni sono stati accusati di stupro e sono finiti in prima pagina solo perché romeni, solo perché un Paese xenofobo e intollerante ha bisogno di colpevoli stranieri.

Non ho mai negato che in Italia un pericolo-razzismo sia reale: ma mi domando se il coro indignato di queste ore non stia invece negando un’altra realtà, non meno evidente. E cioè che sulle prime pagine dei giornali, in questi stessi giorni in cui si parlava dello stupro della Caffarella, sono state pubblicate altre facce, questa volta di italiani, arrestati per lo stesso reato di stupro, in alcuni casi con l’aggravante della pedofilia. I due napoletani arrestati per violenze su bambini, avete presente? E non abbiamo forse messo in prima pagina anche la vicenda dello stupro di Capodanno, indignandoci per gli arresti domiciliari così velocemente concessi al colpevole? Eppure è un italiano, quel colpevole.

Se i due romeni risulteranno innocenti, sarà un caso di errore giudiziario. Risolto molto più velocemente di un altro errore, quello che ha martirizzato per quasi cinque anni l’ingegner Elvo Zornitta, indicato contro ogni evidenza (gli attentati continuavano anche quando era indagato, pedinato e intercettato) come quel demente che si fa chiamare Unabomber. Eppure per anni più di un magistrato ha pubblicamente indicato Zornitta come «sicuro colpevole» (e allora perché non lo arrestavano?). Eppure gli inquirenti parlarono di una «prova regina», che poi risultò essere contraffatta in malafede.

Eppure l’altro giorno quando Zornitta è stato finalmente prosciolto i giornali se lo sono filati appena di striscio, e nessuno ha stigmatizzato quanto avevamo sbattuto il mostro in prima pagina. Sebben che sia friulano.

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