Con queste corrispondenze esclusive da Kiev si conclude il reportage di Fausto Biloslavo dall'Ucraina in rivolta. Un servizio che è stato reso possibile dal sostegno concreto di tanti nostri lettori alla iniziativa di crowdfunding «Scegli il tuo reportage». Gli «Occhi della guerra» dei reporter del Giornale continueranno a essere ben aperti. Nei prossimi giorni comincerà la pubblicazione del reportage dalla Libia di Gian Micalessin. Continuate a seguirci e a sostenerci su www.ilgiornale.it e su gliocchidella guerra.it (codice Iban per i bonifici di contributo: IT43L0503401633000000004244).
Il solito rivoluzionario, elmetto da Patto di Varsavia in testa, scruta con il binocolo, da dietro un cumulo di pneumatici, i cordoni della polizia ad una trentina di metri.
In via Hrushevsgoko, nel centro di Kiev, dove sono scoppiati gli scontri più feroci della rivolta ucraina, fa una certa impressione trovarsi dall'altra parte delle barricate. In mezzo alla milizia, la polizia, che sbarra il passo ai rivoluzionari a meno di un chilometro dal Parlamento. I «cattivi», come sono stati dipinti, a cominciare dai temibili Berkut, i corpi speciali anti sommossa accusati di brutalità e pestaggi filmati in diversi video su You Tube. «Posso mostrarvene altrettanti in cui i miei uomini venivano massacrati di botte dalla frangia estremista dei manifestanti. Noi siamo qui a garantire l'ordine pubblico», sottolinea un capitano di 27 anni. Occhi azzurri ed inglese fluente parla come un ufficiale dei carabinieri da noi, ma alle spalle ha delle barricate alte metri con i rivoluzionari di guardia.
I Berkut, le «aquile», stanno in seconda linea pronti ad intervenire quando il gioco si fa duro. Tutti marcantoni con il balaclava calato sul volto sembrano ingigantiti dalle mimetiche grigiastre, che li distingue dagli altri poliziotti. Sul primo momento quando vedono un giornalista, che fino al giorno prima circolava sulle barricate, restano stupiti.
Poi uno di loro si mette a ridere e si fanno fotografare senza problemi. Il ministero dell'Interno permette per la prima volta ad un italiano un reportage così ravvicinato. L'unica limitazione, non da poco, è che gli agenti antisommossa non possono né parlare, né dire i loro nomi. Qualcuno evita l'intralcio facendo con le dita il segno di vittoria. Un altro vuol sapere dove uscirà l'articolo «perché ho degli amici a Napoli».
A quelli in prima linea in mezzo agli alberi con scudi, manganelli, casco e granate assordanti prende quasi un colpo quando si trovano l'intruso con la macchina fotografica alle spalle.
Serhiy Burlakov, portavoce del ministro dell'Interno, conferma che «150 agenti sono finiti in ospedale. Sappiamo bene che in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti i poliziotti non sono molto morbidi con chi li attacca. I nostri bruciavano come torce sotto le molotov». E aggiunge: «Quella di piazza Majdan non è più una protesta pacifica. Ci sono le prove che in alcuni edifici occupati hanno le armi».
Durante gli scontri più violenti piovevano bottiglie incendiarie una dietro l'altra ed i manifestanti avevano anche una catapulta. «Ho visto i miei uomini prendere fuoco. Per salvarli altri agenti spegnevano le fiamme con gli estintori - racconta il capitano con gli occhi azzurri -. Alcuni si sono beccati un sampietrino che gli ha spaccato il casco e la testa. È stata molto dura». Dall'altra parte non c'è solo il pianista mascherato che suona una musica struggente, ma militanti ben addestrati.
Sulla prima linea la guerriglia urbana ha lasciato spazio a quella psicologica. I ribelli hanno innalzato schermi per inondare gli agenti anti sommossa con notizie e slogan pro rivoluzione. La polizia ha reagito con un'assordante musica patriottica.
Sul fronte della barricate ci sono pure giovani reclute, poco più che ventenni. Pochi parlano ucraino e la maggioranza usa il russo. Un reparto arriva dalla Crimea, la penisola filo Mosca per eccellenza.
L'aspetto paradossale è che da questa parte delle barricate i giovani della milizia vivono pressappoco come i ribelli dall'altra. Si riscaldano con la legna davanti a fusti vuoti dove accendono il fuoco. Patiscono il freddo a tal punto che il primo cordone riceve il cambio ogni ora. Bivaccano negli edifici circostanti, ma al posto delle tende da campo di Majdan hanno una sfilza di autobus malmessi, dove riposarsi con il riscaldamento a manetta. Davanti alle barricate è stato portato un enorme riflettore antiaereo, come quelli della seconda guerra mondiale. Una specie di camion circondato da lamiere, lungo e pesante, sembra l'ariete che potrebbe sfondare le barricate.
Delle accuse di aver sparato e ucciso dei manifestanti non vogliono sentir parlare. «Abbiamo l'ordine di usare solo proiettili di gomma, se necessari» giura il capitano Ruslan. I morti, però, ci sono stati, ma al ministero dell'Interno sostengono che il calibro dei proiettili non era in dotazione agli agenti. Qualsiasi provocatore, da una parte o dall'altra, può fare il cecchino per trascinare il Paese nel caos.
Nella piazza ribelle sono appese le foto di decine di attivisti spariti nel nulla. I partiti dell'opposizione hanno posto come condizione il rilascio di tutti gli arrestati e pretendono la testa dei «boia responsabili della repressione».
Ruslan,
l'ufficiale dagli occhi azzurri, è convinto: «Non vogliamo l'escalation. Penso che la gente comune abbia paura di un peggioramento della situazione e speri in una soluzione pacifica che eviti il rischio di una guerra civile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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