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Bimba down rischia la forca per blasfemia

Pakistan, una bimba cristiana di 11 anni incarcerata perché avrebbe strappato alcune pagine di un testo sacro islamico. Folla scatenata impone l'arresto e devasta un quartiere

Bimba down rischia la forca per blasfemia

Quanto è facile essere accusati di blasfemia - che nella circostan­za significa oltraggio alla religio­ne islamica- nel musulmano Paki­stan. Ne saprebbe qualcosa, se non fosse mentalmente ritardata e quindi assai poco consapevole dei propri atti, Rifta Masih, la bam­bina undicenne di religione cri­stiana che alcuni giorni fa è stata ar­restata a Islama­bad sotto l’accusa di aver strappato, bruciato e gettato nell’immondizia alcune pagine di un manuale che serve per impara­re a leggere il Cora­no, il testo sacro dell’islam.Un rea­to che in Pakistan può costare una condanna a morte perfino a un’undi­cenne.

Rifta abita - an­zi, abitava, visto che è stata portata in un riformatorio dove rimarrà per due settimane in attesa delle deci­sioni di un giudice sul suo caso - a Meharabadi, un quartiere povero alla periferia del­la capitale dove vivono circa 800 cristiani. Alcuni vicini musulma­ni l’hanno vista armeggiare con una copia del Noorani Qaida, un testo che serve per imparare la let­tura del Corano. La bambina, che è affetta dalla sindrome di Down e quindi anche visibilmente handi­cappata, avrebbe strappato una decina di pagine dal libro e avreb­be dato loro fuoco, gettando poi i resti del suo gioco in un secchio della spazzatura. Quel che ne è se­guito è un classico del fanatismo e dell’ignoranza: fingendo di (o non riuscendo a) capire che la bambina non poteva avere agito con un intento oltraggioso, i vicini hanno cominciato a gridare all’of­fesa all’islam. Altrettanto tipica­mente, il resto del vicinato musul­mano non si è minimamente cura­to di accertare la verità e di tener conto della disabilità della bambi­na accusata di blasfemia, e ha col­to l’occasione per scatenare un piccolo pogrom a Meharabadi: gente aggredita, oggetti distrutti, minacce di morte gridate, tanto che molti dei cristiani del quartie­re hanno preferito darsela a gam­be.

Questo non è riuscito a Rifta, che su insistenza della gente del posto è stata incredibilmente arre­st­ata e portata prima in commissa­riato e poi in un riformatorio. Di fronte all’evidenza dell’handicap della bambina, i poliziotti si erano dapprima rifiutati di procedere al fermo, ma ormai la sceneggiata si era avviata: il commissariato cir­condato da gente furibonda, men­tre un’altra folla altrettanto irra­gionevole bloccava una grande strada e minacciava un ultima­tum. Così, per evitare l’ulteriore degenerare della situazione, la bambina è stata arrestata e porta­ta via. E nessuno è sembrato far ca­so a un dettaglio che in realtà non è da poco: la persona che ha pre­sentato la denuncia per blasfemia contro Rifta Masih non era neppu­re presente ai presunti fatti.

L’assurda vicenda ha riaperto la questione di una legge che esi­ste in Pakistan dagli anni Ottanta, e che troppo spesso è stata utilizza­ta in modo strumentale per fini personali. Sono oltre mille i paki­stani che sono stati incriminati da allora in base a questa norma, cui vanno aggiunte le circa trenta che non sono arri­vate neppure al processo, perché assassi­nate da individui­ armati o linciate da folle fanatiche.

Dopo che Paul Bhatti, consigliere del pr­emier per le questioni dell’armonia nazionale e fratello dell’ex ministro degli affari del­le minoranze Shahbaz Bhat­ti, come lui cri­stiano e ucciso da un comman­do armato nel marzo 2011, ha disposto un’as­sistenza legale per Rifta Masih e ordinato un’inchiesta sulle pres­sioni esercitate sulla polizia per­ché procedesse al suo arresto, è in­tervenuto lo stesso presidente Asif Ali Zardari. Il capo dello Stato pakistano ha chiesto entro venti­quat­tr’ore un rapporto sulla vicen­da e ha dato indicazioni alle autori­tà perché «proteggano la vita e le proprietà di chiunque e impedi­scano che qualcuno si arroghi il di­ritto di esercitare la legge». Zarda­ri ha aggiunto che se la blasfemia non può essere perdonata, a nes­suno potrà essere consentito di strumentalizzarla a fini personali.

Vedremo se questo servirà a otte­nere la liberazione della piccola disabile, che per il momento resta in cella con davanti a sé l’incredibi­le prospettiva del patibolo.

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