Le Borse resistono, ma Atene crolla (-7%)

Le Borse resistono, ma Atene crolla (-7%)

La Grecia lasciata andare alla deriva, risucchiata dai suoi stessi rigurgiti di nazionalismo e di anti-europeismo. Il resto di Eurolandia più concentrato sui propositi di rilancio della crescita e, contestualmente, meno agitata dal sacro furore di rimettere ordine nei conti, costi quel che costi. Alla luce del voto greco e di quello francese, è possibile leggere con questa doppia partitura la reazione di ieri delle Borse, per certi versi non del tutto scontata come dimostrano le profonde oscillazioni subite durante la giornata dagli indici.
Eppure i risultati elettorali non hanno fatto altro che riflettere quanto già previsto alla vigilia. L’urna ellenica diventa il simbolo di un Paese in preda al caos, lacerato dai voti di protesta e di sfiducia, dal rifiuto verso un’austerity senza futuro, in cui la frantumazione elettorale si salda al successo delle ali più estreme del ventaglio politico. Senza alleanze oggi ipotizzabili, la situazione si può riassumere in una parola sola: ingovernabilità. Il peggiore dei mali per i mercati. Atene, infatti, è sprofondata sotto il peso di un agghiacciante -6,7%. Altre macerie sulle macerie. La prospettiva di un ritorno ai seggi elettoriali entro un mese non può essere certo di conforto, perché nulla sembra poter cambiare in così poco tempo.
Senza dar troppo credito ai profeti (di sventura) che vagheggiano un ritorno alla dracma, non si può non tener conto di un moderato come il leader socialista, Evangelos Venizelos, che intende rinegoziare i termini di quel piano di salvataggio da lui stesso firmato a Bruxelles in qualità di ministro ellenico dell’Economia. Che Atene possa far carta straccia dei patti è ciò che temono gli investitori da tempo. La stessa inquietudine è condivisa dalla Commissione Ue che, con tutte le cautele del caso, ha richiamato i greci al rispetto degli impegni. Meno diplomatici i toni usati da Steffen Seibert, portavoce di Angela Merkel: «Gli accordi vanno onorati, sono la migliore via di uscita per la Grecia». Una sponda inattesa a quanti di tirare solo la cinghia non ne possono più è però arrivata dalla leader del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: l’austerità dovrebbe essere «graduale e progressiva», ha spiegato.
La reazione tedesca è comprensibile. Mai come in questo momento Berlino si sente accerchiata. Già in febbraio l’Italia e altri 11 Paesi avevano sottoscritto una lettera (non controfirmata da Berlino e Parigi) in cui si metteva la crescita al centro dell’agenda Ue, mentre anche la Bce di Mario Draghi si è più volte espressa sulla necessità di dar più impulso al rilancio economico.
Ora, l’affermazione di François Hollande priva la Merkel di un interlocutore-supporter come Nicolas Sarkozy. Il nuovo presidente francese, pur avendo smussato le iniziali (e tranchant) spigolosità sul Fiscal compact, rappresenta in ogni caso un elemento di indiscutibile discontinuità rispetto al suo predecessore. Hollande ha promesso al proprio elettorato di enfatizzare i temi dello sviluppo, mettendo più sotto traccia la ricerca del rigore. È una linea che rischia di far proseliti in Olanda, dove la maggioranza è caduta proprio sull’approvazione di un ulteriore piano di austerità, e di condizionare anche il referendum irlandese di fine mese sul Patto di bilancio. È insomma una situazione molto fluida e delicata, ma che non sembra aver preoccupato ieri più di tanto i mercati. Bene infatti Parigi (+1,65%), con il Tesoro francese che ha mandato in porto senza affanni e a tassi in calo la prima asta di titoli di Stati dopo il verdetto delle presidenziali. Più incerta Francoforte (+0,12%), sugli scudi Madrid (+2,72%) e una Milano per nulla condizionata dalle amministrative (+2,3%), con contestuale raffreddamento degli spread (Btp-Bund a quota 379 punti).
Per certi versi una reazione sorprendente, quella dei mercati. Anche perché Berlino non mostra segni di cedimento nella difesa dell’ultra-rigorismo, malgrado da un land tedesco come lo Schleswig Holstein sia arrivata l’aspettativa di un cambio di marcia alla politica economica Ue.

La Merkel si è detta pronta ad accogliere «a braccia aperte» Hollande, ma quasi in contemporanea il suo portavoce ha fatto partire un vero e proprio fuoco di sbarramento: «Non è possibile rinegoziare il Fiscal compact - ha detto Seibert - . Non c’è crescita attraverso la creazione di nuovi debiti».

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