Ieri, giorno del conto alla rovescia per lo shutdown americano, i commentatori politici erano piuttosto d'accordo (a differenza dei due rami del Congresso): più che a negoziare, si pensava a chi dare la colpa. Anche se Obama ha detto di puntare a un accordo in extremis, in pratica si dava già per scontato che lo shutdown fosse cosa fatta. Pronto a scattare a mezzanotte, con la «chiusura» parziale di attività federali e del governo e quindi, di fatto, con centinaia di migliaia di lavoratori a rischio di furlough, cioè di essere lasciati a casa senza stipendio. Il fatto è che nel weekend la Camera, a maggioranza repubblicana, ha approvato una legge finanziaria da 986 miliardi di dollari, per continuare a sostenere le attività del governo fino a metà novembre; solo che quel testo rimanda di un anno l'Obamacare, la riforma del presidente, che entra in vigore esattamente oggi.
Il Senato, in mano ai democratici, si è riunito ieri per decidere se rimandare alla Camera un testo che includa i fondi per l'Obamacare (e che potrebbe essere di nuovo bocciato), oppure approvare la finanziaria così com'è, chiedendo poi il veto del presidente, che permetterebbe di rimandare lo shutdown. Ma più che dei duecento milioni di dollari al giorno che perderebbe soltanto il District of Columbia, visto che Washington sarebbe la città più penalizzata dalle chiusure di parchi, musei, monumenti e siti federali, con circa il sessanta per cento dei 377mila dipendenti statali che perderebbero il lavoro; più che degli ottocentomila, forse un milione (su 2,1 milioni) di impiegati federali che resteranno senza stipendio; più che del rischio, insomma, di perdere fino a due miliardi di dollari, come successe nel 1996, anno dell'ultimo shutdown, in piena era Clinton, che durò ventisette giorni, pare che dalle parti del Congresso l'interesse sia più che altro al gioco politico. Lo dicono i due volti della battaglia: quello di John Boehner, lo speaker repubblicano alla Camera, e quello di Harry Reid, leader della maggioranza democratica al Senato. Boehner ha assaporato il sapore della vittoria, con un testo che mette a nudo ancora una volta le difficoltà del presidente e di fatto lo «ricatta» su uno dei temi a lui più cari, la riforma della sanità e, insieme, presentito l'odore di una possibile sconfitta, o per lo meno di una ritorsione a livello elettorale: perché, secondo i sondaggi, la maggioranza degli americani dà la colpa ai repubblicani del mancato accordo sul budget, e li giudica addirittura dei «bambini viziati». Il malessere c'è, tanto che Bill Clinton ha suggerito a Obama di «smascherare il bluff del Gop». Anche se Boehner accusa Reid di avere cercato lo scontro, rifiutando il negoziato, rimandando fino all'ultimo il voto al Senato. E in effetti, secondo Politico, sarebbe lui l'artefice della «linea dura» dei democratici, nessun compromesso, nessun cedimento del presidente, in vista di un altro obiettivo: non dover concedere troppo per avere l'ok all'innalzamento del tetto del debito, fermo a 16.700 miliardi di dollari.
Entro il 17 ottobre (quando i fondi saranno esauriti) il Congresso dovrà approvare la manovra di innalzamento. Altrimenti, anziché lo shutdown, l'America rischia il default: e chissà che cosa potrebbero chiedere in cambio, allora, i repubblicani.
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