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Tra i frontalieri avviliti e arrabbiati: "Stanchi di subire"

Ogni giorno decine di migliaia varcano il confine per lavorare "nonostante le campagne denigratorie"

Tra i frontalieri avviliti e arrabbiati: "Stanchi di subire"

nostro inviato a Como

Preoccupati. Ma anche parecchio arrabbiati. Stati d'animo. Comprensibili reazioni per chi da poche ore, da quando il referendum è passato, sta navigando nel mare nell'incertezza. Siamo a Como San Giovanni, la stazione ferroviaria che rappresenta un po' il passaggio obbligato dei frontalieri che lavorano a Chiasso, Balerna, Mendrisio e nei vari paesini elvetici che si succedono lungo la rotta sino a Lugano e oltre. Lo snodo delle speranze ma anche, soprattutto in questi anni, delle amarezze, di chi sale e scende da questi treni, ogni giorno, per portarsi a casa uno stipendio. Di chi, come tutti i pendolari, è forzatamente costretto a regalare, da anni, uno scampolo della propria esistenza a un viaggio, non proprio e non sempre agevole, per raggiungere un posto di lavoro.

Già, perché chi passa e chi parte da Como San Giovanni per andare in Svizzera a lavorare si sobbarca quotidianamente anche il cambio di due, tre mezzi: l'auto privata, un bus, un treno regionale e poi, una volta in territorio elvetico, magari anche il famoso «postale», il bus giallo che punteggia il territorio in ogni dove. Prendete Manlio, per esempio, 29 anni, carpentiere, che sale come un soldatino su quello delle 6.39 per raggiungere Balerna, ma che parte da casa due ore prima. Avrà i suoi buoni motivi per dirci un po' telegraficamente e anche un po' folcloristicamente che: «Basta con questo sistema di decidere tutto sulla pelle della gente che lavora. La stessa gente di cui la Svizzera ha sempre avuto bisogno e che ha sempre trattato a calci nel sedere come se tutti noi fossimo quasi dei clandestini».

«Già, invece gli extracomunitari veri sono loro, sono sempre stati loro che dell'Europa e delle leggi dell'Europa se ne sono sempre fregati» gli fa eco Lorena, impiegata in una società di assicurazioni, treno delle 7.09, stessa vita, finalmente sulla via del ritorno adesso che la intercettiamo. Sciamano i frontalieri dalle più diverse destinazioni. Chi esce per raggiungere in fretta il «regionale», chi sale a bordo dell'auto per tornarsene a casa con i propri mezzi.
Come Lino, 34 anni, operaio specializzato che, per raggiungere la sua famiglia a Olgiate Comasco, deve come tanti altri arrangiarsi: «Visto che il Tilo, il treno degli studenti e dei pendolari, istituito dalla Regione, non era proprio il massimo della comodità per i miei orari, ho deciso di buttare un po' di soldi nel viaggio. Risultato? Adesso rischio di venir buttato fuori io, con questa storia del possibile contingentamento degli immigrati. Eppure lo sanno benissimo, gli svizzeri, che hanno bisogno di noi, altro che balle». Rimbalzano le cifre dal Coordinamento Regionale Frontalieri di Como, il patronato Acli che, dal 1961, tutela i diritti dei lavoratori italiani in Svizzera anche in ambito previdenziale e fiscale: su 60mila frontalieri, provenienti dalle province di Como, Varese e Sondrio oltre il 40 per cento si muove dalla provincia di Como.

Chi cerca un impiego in Svizzera, confermano i dati, non sono solo disoccupati o artigiani ma anche medici, infermieri, architetti e persino docenti. Se è vero che l'iniziativa referendaria, promossa dal partito di destra ed antieuropeista dell'Unione democratica di centro, chiede la reintroduzione di tetti massimi e contingenti per l'immigrazione di stranieri, è anche vero che sono le motivazioni ad irritare la più parte dei frontalieri, dato che l'Udc ritiene gli stranieri responsabili dell'impoverimento della popolazione, ma anche del traffico e della criminalità.

«Vuole sapere la verità? La Svizzera non ha mai aperto davvero le porte a noi lavoratori italiani. In questi anni di campagne denigratorie e di insulti ne abbiano incassate parecchie. Persino come i topi che rosicchiavano il loro formaggio ci avevano dipinti sui manifesti, tre anni fa.

Ma che guardassero in faccia invece a chi porta i capitali non proprio puliti e cominciassero a far qualcosa di meno punitivo verso la gente che il sudore e la fatica l'ha sempre portata da casa per servire le loro case piene di cioccolato», chiosa Aurelio, che si sobbarca sei ore di viaggio ogni giorno per fare il meccanico a Mezzovico.

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