L'India ha le palle e noi no. Il paese che trattiene da 22 mesi i marò lo sta dimostrando non con il Bhutan, ma con la superpotenza americana. Lo scorso venerdì la vice console indiana, Devyani Khobragade, viene arrestata a New York con l'accusa di sottopagare la colf e falsificare i documenti per il visto della domestica. La polizia della Grande mela, che non guarda in faccia nessuno, la sbatte in cella perquisendola anche nelle parti intime.
New Delhi scatena una «rappresaglia» senza precedenti, che il governo italiano non ha mai avuto l'ardire neppure di immaginare dopo l'arresto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. In poche ore le autorità indiane ritirano le speciali carte d'identità di viaggio per i diplomatici americani, negano loro l'accesso alla corsia preferenziale alle frontiere e controllano a tappeto il reddito del personale locale che lavora per gli yankee. Non solo: un bulldozer rimuove i blocchi di cemento contro le autobombe messe dopo l'11 settembre attorno all'ambasciata Usa. Nelle ultime ore a Delhi i più alti esponenti politici si sono rifiutati di incontrare una delegazione ufficiale di rappresentanti Usa.
Il nostro massimo colpo di reni per i marò è stato convocare l'ambasciatore indiano a Roma per alzare la vocina. La vice console indiana rimane dietro le sbarre per poche ore. Liberata su cauzione i suoi colleghi la trasferiscono all'Onu dove è intoccabile. I marò sono rimasti in carcere quasi tre mesi e prima di farli arrivare all'ambasciata italiana ci è voluto circa un anno.
Il ministro degli Esteri indiano, Salman Kurshid, ha detto a chiare lettere riferendosi alla connazionale: «Ristabiliremo la sua dignità. Chiediamo scuse incondizionate, il ritiro di tutte le accuse e la porteremo a casa a ogni costo». Musica un po' diversa rispetto alla litania dei nostri governanti, da Monti a Letta, capaci solo di sventolare lo scampato pericolo della pena di morte per i marò, tutto da verificare al processo, come la massima vittoria.
Per una vice console poche ore in cella, l'India sta sbattendo con efficacia i pugni sul tavolo. Per i marò confidiamo nella giustizia di Delhi. E quando il nostro ambasciatore era stato bloccato nella capitale con la minaccia neppure tanto velata di arrestarlo, se Girone e Latorre non fossero tornati dal permesso in patria, abbiamo calato le braghe cambiando vergognosamente idea e rimandando i fucilieri di Marina in India. Invece che fare il diavolo a quattro, come Delhi con Washington in queste ore. «Perchè non arrestiamo i gay dell'ambasciata americana» ha proposto Yashwant Sinha, ex ministro degli Esteri del Bjp, il partito di opposizione che potrebbe vincere le elezioni a primavera. Nei giorni scorsi l'India aveva riesumato una norma coloniale contro l'omosessualità. Non solo: da ieri gli ultra nazionalisti bruciano in piazza le foto del presidente Obama. Spacconate propagandistiche, ma il nostro governo non è stato neppure capace di ritirarsi per protesta dalla missione anti pirateria al largo della Somalia. L'India è una grande potenza emergente e lo dimostra. Noi siamo l'Italietta.
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