«Finalmente. Sono felice, anzi strafelice. Adesso voglio solo tornare a fare il fuciliere di Marina al mio reparto, il San Marco, per mare per terram». Al telefonino con il Giornale Massimiliano Latorre si lascia andare. Lui e Salvatore Girone, accusati dall'India di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati il 25 febbraio di un anno fa, non torneranno a Delhi. L'ultimo permesso di quattro settimane concesso dalla Corte suprema scadeva il 23 marzo. Meglio tardi che mai, il governo Monti in scadenza, con un colpo di reni, ha informato l'India che l'Italia, già umiliata a più riprese, non riconsegnerà i due marò.
«Ero in macchina quando mi è arrivata la notizia. E un secondo dopo il telefonino ha cominciato a squillare come se fosse impazzito e sono arrivati mille messaggi di calore e affetto» racconta Latorre, il comandante della squadra di protezione anti pirateria della nave italiana «Enrica Lexie» trattenuto in India per un anno. «Finalmente, ma devo confessare che non ho mai avuto dubbi sull'impegno dello Stato - spiega il capo di prima classe del San Marco -. Voglio cogliere l'occasione per ringraziare il presidente della Repubblica, le istituzioni e il popolo italiano che ci ha sostenuti». «Giuro sui miei figli che sono sempre stato sereno che sarebbe finita bene - sottolinea Latorre -. Adesso voglio godermi questo momento, ma in quest'anno difficile non siamo mai stati soli. I gruppi che sono nati su Facebook ci hanno dimostrato un grande affetto». Latorre, però, precisa che non ce l'avrebbero fatta, lui e Girone, «senza i nostri familiari, ai quali va il ringraziamento più grande: loro hanno avuto una grande forza nell'affrontare tutta questa vicenda, e soprattutto hanno dato a noi la forza e il coraggio per andare avanti».
Una nota della Farnesina resa pubblica ieri pomeriggio annuncia: «L'Italia ha informato il governo indiano che, stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati, i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non faranno rientro in India alla scadenza del permesso loro concesso». L'ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, su istruzione del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha consegnato all autorità indiane una nota verbale che non lascia dubbi. I marò restano in patria. «All'indomani della sentenza del 18 gennaio 2013 della Corte Suprema indiana, (che ha strappato i marò dalle grinfie del Kerala, nda) l'Italia ha proposto formalmente al governo di New Delhi l'avvio di un dialogo bilaterale per la ricerca di una soluzione diplomatica del caso» rivela la nota.
Il grimaldello è la convenzione delle Nazioni Unite, Unclos, sulla legge del mare, richiamata dagli stessi giudici di Delhi, che prevede un arbitrato internazionale in casi del genere. L'India non ha risposto e noi abbiamo finalmente reagito sbattendo i pugni sul tavolo. «L'Italia ha sempre ritenuto che la condotta delle autorità indiane violasse gli obblighi di diritto internazionale», sostiene adesso la Farnesina. Dopo la nota ufficiale è il ministro Terzi a suggellare con un Tweet i ritrovati attributi del nostro Paese: «Disponibili a trovare soluzioni con India in sede internazionale. Intanto i nostri marò restano in Italia». I marò ed i loro familiari vengono travolti. «Siamo attoniti, non possiamo che esultare. È una bellissima notizia. Grazie Italia» esulta Franca Latorre, sorella di Massimiliano.
Dall'India, commenti opposti. «I due marò italiani devono essere processati da noi secondo le leggi indiane», sbotta una fonte diplomatica di New Delhi all'Onu. I media lanciano la notizia con evidenza. Sul sito i lettori del Times of India cominciano ad accusare Sonia Gandhi, la lady di ferro di origini italiane, di aver aiutato i marò.
Il ministro degli Esteri indiano, Salman Kurshid, adotta il profilo basso: «Non sarebbe bene reagire ora».
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