Chiunque vinca a Washington sarà il trionfo dell'isolazionismo

Avremmo bisogno di più generosità dall'altra parte dell'Oceano, ma i tempi sono cambiati

L'Europa fa il tifo per Barack Obama e in schiacciante maggioranza continua a vedere negli Stati Uniti la forza trainante della democrazia. Ma il suo è un amore non ricambiato o ricambiato tiepidamente al di là dell'Atlantico. Noi siamo ansiosi di sapere quale esito avrà il duello tra il presidente in carica e lo sfidante Mitt Romney, ci chiediamo quali conseguenze quel voto lontano eppure incombente avrà sulle nostre sorti travagliate. Agli americani sembra non interessi nulla di sapere cosa si pensa e cosa si fa nel vecchio continente. Semmai si preoccupano per il Medio Oriente o per la Cina: e nell'Europa dedicano attenzione alla Russia che è fuori dall'Ue, e che è anche una potenza asiatica di prim'ordine.

È stato da molti rilevato - Giuseppe De Bellis e Angelo Panebianco in particolare - che l'Europa è stata la grande assente della campagna elettorale. Romney l'ha citata (riferendosi all'Italia e alla Spagna) ma come esempio negativo di dissesto economico. Prevale negli Usa un isolazionismo bipolare, incentivato dalla riemersa diffidenza della gente comune per un colosso decadente. All'uomo della strada americano la prospettiva di una europeizzazione degli Usa appare come un incubo. Chiunque vinca non si tornerà ai legami privilegiati d'un tempo tra le entità-simbolo dell'Occidente. Si può supporre che Obama avvertirà più del rivale, in caso di vittoria, i vincoli del passato. Entrambi - Barack e Mitt - temono di restare avvinti a un malato che può essere contagioso: anche se in realtà l'Europa è stata finanziariamente contagiata dagli Usa. Le differenze tra il programma di Obama e quello di Romney si faranno sentire anche in Europa: se davvero il repubblicano o il democratico riuscissero a riavviare - entrambi lo hanno promesso - la locomotiva Usa, l'Europa se ne avvantaggerebbe. Ma sarebbe soltanto un effetto collaterale. Nei decenni del dopoguerra Washington ha saputo e potuto aiutare tutti, vincitori e vinti, a risollevarsi. In questo momento di rigore implacabile l'Europa avrebbe bisogno, come dopo il 1945, di una America che si chinasse sulle sue pene e desse il via a una rinascita.

Quell'America non la si troverà: perché non è più la superpotenza della libertà; perché è anch'essa nei guai, e a quelli pensa: infine perché di quest'Europa grossa e stanca non si fida. Lo zio Sam non fa più credito. Sta all'Europa riconquistarlo.

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