I turchi trattano il prete martire come un pacco

L’acqua è nera, in superficie, ma lo è ancor di più in profondità. Nero è l’umore dell’America, nere sono le prospettive per la stessa Bp. Anzi, nerissime, quasi funeree. Fino a due giorni fa la falla al largo della Louisiana, per quanto drammatica, non sembrava tale da compromettere l’esistenza di una delle più grandi società al mondo. Ora invece sì.
Il governo statunitense dubita che il colosso britannico disponga dei fondi necessari per sostenere i risarcimenti e si appresta ad adottare misure «straordinarie» per impedire che i dividendi vengano distribuiti. L’America ha perso la pazienza con la Bp. E dichiara guerra. Tardiva, ma pur sempre guerra. Con una prima vittima: il titolo della stessa Bp, che mercoledì a Wall Street ha perso il 15% in pochi minuti, mentre ieri ha vissuto sulle montagne russe, ma sempre tendenzialmente al ribasso. Le quotazioni sono dimezzate, viaggiano ai livelli del 1997 e potrebbero rapidamente convergere verso lo zero.
Ieri i siti americani rilanciavano con forza l’intervista rilasciata a Fortune dal guru dell’industria petrolifera, Matt Simmons, il quale è convinto che resti solo un mese prima che la Bp porti i libri in tribunale.
Il fallimento manderebbe provocherebbe danni immensi ai fondi pensione britannici, che hanno riempito i portafogli con un titolo ritenuto sicurissimo fino allo scorso aprile, e non pochi problemi al governo del premier conservatore Cameron, il quale, non a caso, proprio ieri è uscito dal riserbo. Per la prima volta Downing Street si è detta pronta ad aiutare la Bp a ripulire le acque del Golfo del Messico. Lo stesso Cameron nel week-end affronterà la questione con Obama, il quale, la settimana prossima, riceverà alla Casa Bianca l’amministratore delegato della compagnia, Tony Hayward.
La popolarità di Obama segue l’andamento del titolo Bp. Gli americani sono indignati per l’eccessiva compiacenza del governo Usa nei confronti della società petrolifera britannica. Nell’intervista a Fortune, il guru Simmons ha dato autorevolezza e consistenza a un interrogativo sollevato da buona parte dell’opinione pubblica. Perché la Casa Bianca ha permesso che la Bp mantenesse il comando delle operazioni? Perché non sono state affidate alla Marina militare statunitense?
La risposta è ovvia: la lobby petrolifera è molto influente e sa come gestire l’opinione pubblica. Oltre a prodigarsi per tentare di chiudere la falla, la Bp ha investito ingenti risorse nel tentativo di ammansire i media, reclutando persino l’ex spin doctor di Dick Cheney, Anne Womack-Kolton. Un’arte, quella della manipolazione, in cui la società si è dimostrata piuttosto abile. La chiazza, infatti, non ha inquinato solo la superficie. Gli additivi chimici, a contatto con il greggio, hanno formato immense “nuvole“ impenetrabili in profondità. Ma il mondo lo ha scoperto solo ora. Il danno ecologico, insomma, sarebbe molto più grave di quanto ammesso finora.
Ma il presidente degli Stati Uniti deve tener conto anche delle implicazioni economiche e geostrategiche.

Secondo fonti autorevoli, la PetroChina potrebbe salvare in extremis la Bp con una scalata a prezzi di saldo. In tal modo Pechino riuscirebbe a mettere le mani su una delle principali società anglosassoni, legata da sempre all’establishment.
Un’ipotesi tutt’altro che gradita a Washington.

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