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Israele attacca Gaza, minacce di guerra

Ucciso Jabari, leader militare di Hamas. La replica del gruppo terrorista: "Si aprono le porte dell'inferno"

Israele attacca Gaza, minacce di guerra

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Beersheba - Ci ha pensato a lungo il governo israeliano prima di sferrare l'operazione Amud Ashan, colonna di fumo, con l'uccisione mirata del capo del braccio armato di Hamas, Ahmad Jabari, responsabile di un numero di assassinati israeliani che si conta a centinaia e anche «carceriere» del soldato Shalit. Le conseguenze saranno dure: già piovono molti missili Grad sulla città di Beersheba, il cielo sul deserto del Negev è percorso da strisce di livida luce, la gente è nei rifugi anche nel resto del sud d'Israele; Gaza vive a sua volta una notte da incubo, l'aviazione colpisce i depositi dei missili Fajr 5 e forse altri due capi di Hamas sono stati uccisi. Hamas ha dichiarato che per gli ebrei «si aprono le porte dell'inferno»; il Sinai è tutto percorso dal terrore antisraeliano, ora a caccia; l'Iran potrebbe ordinare agli Hezbollah, al nord, di aprire il fuoco; e l'Egitto del presidente Morsi, che prima ha chiesto a Israele di cessare gli attacchi e in serata ha richiamato l'ambasciatore, può reagire in maniera furiosa in difesa di Hamas, anch'esso parte dei Fratelli musulmani.

Jabari se ne andava in giro in macchina in pieno giorno, evidentemente sicuro che Netanyahu non avrebbe osato o non avesse le informazioni giuste, oppure che il suo viaggio al Nord insieme a Ehud Barak testimoniasse un disinteresse per Gaza. Eppure l'avviso era venuto diretto e preciso sia dal premier che da Barak: «Agiremo quando meno se l'aspettano, come vorremo, quando vorremo». E ancora, rivolto agli ambasciatori convocati a Ashkelon: «Nessun Paese al mondo potrebbe accettare che la sua popolazione sia bombardata ogni giorno, Hamas deve smettere pena la fine». L'alternativa era fra un'invasione da terra come nel 2008-2009 o un urlo deciso fino all'orecchio di Ismail Hanje, il primo ministro, e gli altri capi di Hamas: è proibito sparare missili su un milione e mezzo di cittadini innocenti del sud d'Israele. L'aviazione israeliana ha seguitato per qualche ora a tempestare i depositi di armi e razzi, specialmente di missili Fajr 5 di lunga gittata, e le installazioni militari; il numero di morti, pari per ora a dieci, sembra indicare che il governo rispetto a un'operazione di terra con molte vittime e reazioni internazionali imprevedibili, preferisca intervenire dall'aria.

In questi giorni, il sud di Israele aveva subito una pioggia di 190 missili. «Missili di tipo nuovo» ci spiegava qualche ora fa nel suo kibbutz attaccato a Gaza, Kfar Asa, il parlamentare di Kadima Shai Hermesh mostrando a un gruppo di parlamentari italiani in visita mura ferite, alberi spezzati, grandi buchi rotondi nel soffitto delle case da cui la gente è fuggita mentre la sirena urlava «colore rosso», tzeva adom, con i bambini in braccio; «missili più grossi che presto arriveranno a Tel Aviv. L'Iran li ha riforniti, le mura spesse venti centimetri non bastano. Abbiamo fornito a ogni casa un rifugio con quaranta centimetri di muro e finestre blindate. Abbiamo solo quindici secondi per raggiungerlo, ma il governo ha speso 250 milioni in due anni per proteggere tutti». Questa è la ragione per cui i morti non sono tanti, spiega bene Hermesh, e certo non la solita propaganda per cui quei missili non fanno tanto male.

A Gaza mettono i loro bambini davanti ai combattenti, noi abbiamo rifugi per tutti, insiste. Hermesh ci mostra un asilo chiuso e blindato dove decine di bambini di tre e quattro anni passano tutto il tempo; non si va mai all'aria aperta. Per gli adulti, il lavoro è in rovina, niente negozi aperti, niente passeggiate, uffici chiusi, e tutto questo punteggiato da distruzioni e danni a scuole e case. Dice Adriana Katz, psichiatra di Sderot, città colpita: «Le sindromi gravi che curiamo nei bambini e nella popolazione sono sconosciute, perché non si tratta di “post trauma”: appena stai un po' meglio ti cade addosso un altro missile, e il trauma si rinnova. Niente “post”».
Ad ogni ora un nuovo personaggio del governo egiziano rinnova la minaccia di guerra, tutto il vicinato minaccia.

La notte che si avvicina, dice Hermesh, sarà molto dura, pioverà fuoco qui, ma la gente è decisa a tornare a una vita di pace, vuole fermare i missili. Difficile da capire per l'Europa? Difficilissimo!

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