Gli italiani ora pagano l'odio per l'Occidente

Dalla cooperante ai marò fermati in India ordine e giustizia internazionali sono ostaggio di chi non rispetta le regole

Gli italiani ora pagano l'odio per l'Occidente

A noi italiani le vicende, seppur di­verse, che coinvolgono la coope­rante Rossella Urru, i marò Massi­miliano Lat­orre e Salvatore Girone ci fan­no toccare con mano che l'ordine e la giu­stizia internazionali nell'epoca della glo­balizzazione sono di fatto contraddistinti dall'arbitrio e dalla violenza. E se confron­tiamo ciò che gli altri fanno a noi con ciò che noi facciamo agli altri e a noi stessi, considerando il comportamento dell'Oc­cidente in Libia e in Grecia, anche qui pur nella diversità dei contesti, abbiamo la conferma che l'Occidente stesso viola in modo flagrante la legalità internazionale e lo stato di diritto. La conclusione è che questo nostro mondo sempre più investi­t­o e prigioniero della globalizzazione del­la materialità della modernità ma che non ha affatto globalizzato i principi giuri­dic­i che sorreggono la legalità internazio­nale e lo stato di diritto, è proiettato verso un futuro dove prevarrà l'anarchia e la leg­ge del più forte e del più violento.

Verrebbe quasi da rimpiangere i tempi in cui il colonnello Stefano Giovannone, ufficiale dell'ex Sismi (Servizi segreti mili­tari) morto nel 1985, tesseva per conto del presidente del Consiglio Aldo Moro gli ac­cordi sottobanco con l'Olp (Organizza­zione per la liberazione della Palestina) di Yasser Arafat garantendo che l'Italia sa­reb­be stata preservata dall'attività dei ter­roristi palestinesi dentro e fuori del terri­torio nazionale. Quegli accordi non sem­pre ressero perch­é Arafat o non controlla­va i gruppi dissidenti in seno all'Olp o face­va il doppio gioco.

Fu così ad esempio che l'aeroporto di Fiumicino fu bersaglio di due stragi nel 1973 (32 morti) e nel 1985 (13 morti), così come la Sinagoga di Roma fu attaccata nel 1982 provocando la morte di Stefano Gay Taché di soli due anni. Tuttavia in li­nea di massima con il terrorismo palesti­nese il dialogo e l'intesa si resero possibili perché Arafat lo concepiva come uno strumento per conseguire un obiettivo politico, anche se poi dimostrò di non es­sere realmente interessato alla pace con Israele.

Viceversa con i terroristi islamici di Al Qaeda, che hanno catturato la Urru, noi ci scontriamo con il loro odio pregiudizia­le nei confronti degli ebrei, dei cristiani e di tutti coloro che condannano come infe­deli, e con la loro deliberata volontà di isla­mizzare con la violenza il mondo intero. Certamente Bin Laden non avrebbe mai trattato il rilascio di un prigioniero ebreo, cristiano o infedele in cambio di denaro. Ma non possiamo escludere che lo possa­no fare i suoi discepoli in un contesto do­ve sussistono margini di autonomia sul piano dell'organizzazione terroristica e dove potrebbero aver peso le specificità culturali o la necessità di acquisire soldi e armi. Certamente ci auguriamo che Ros­sella possa al più presto tornare libera e riabbracciare i suoi cari.

Così come verrebbe da rimpiangere i tempi in cui era sufficiente una telefonata di un capo di Stato o del ministro degli Esteri di un Paese occidentale per convin­cere i governanti del Terzo mondo ad ac­condiscendere alle nostre richieste. Oggi buona parte di quel Terzo Mondo, ne face­vano parte la Cina, l'India, il Brasile e i Pae­si arabi del Golfo, condiziona pesante­mente la finanza e l'economia internazio­nale. Non stupisce pertanto che il gover­no indiano sfidi apertamente l'Italia nel­la vicenda dei due marò, rifiutandosi di considerare il fatto incontestabile che l'in­cidente sfociato nell'uccisione di due cit­ta­dini indiani si è consumato in acque in­ternazionali e che i nostri militari che si trovavano a bordo della petroliera della marina mercantile italiana Enrica Lexie godono della immunità della giurisdizio­ne rispetto agli Stati stranieri. Prendiamo atto dell'arbitrio con cui l'India, decanta­ta come la più grande democrazia del mondo in considerazione della popola­zione votante, viola il diritto internaziona­le.

Il punto è che noi occidentali predichi­a­mo bene ma razzoliamo male. In Libia ab­biamo fatto arbitrariamente la guerra a Gheddafi, voltandogli da un giorno all'al­tro le spalle dopo averlo per quarant'anni riverito, omaggiato, coccolato e perdona­to i suoi orrendi crimini, macchiandoci noi stessi, come ha appena confermato anche un rapporto dell'Onu, di crimini di guerra, in combutta con il nuovo regime che è agli antipodi della democrazia, del­la libertà e del rispetto dei diritti fonda­mentali della persona. Persino all'interno stesso dell'Occiden­te viene pesantemente leso lo stato di di­ritto che si fonda sulla responsabilità sog­gettiva. In Grecia ci stiamo comportando in modo del tutto illegale applicando il principio opposto della responsabilità collettiva, facendo pagare ai greci le colpe dei loro governanti che vengono addirit­tura premiati elevandoli a salvatori della Patria. Sia il leader della sinistra Papan­dreu sia il leader del centro destra Sama­ras, i veri responsabili del malgoverno del­la Grecia, sono stati prescelti come i ga­ranti dell'esecuzione delle pesantissime manovre finanziarie imposte dalla Ban­ca Centrale Europea, dal Fondo Moneta­rio Internazionale e dalla Commissione Europea in cambio del nuovo credito di oltre 130 miliardi di euro.

Papandreu e Samaras si sono addirittu­ra impegnati per iscritto a garantire il ri­spetto dell'accordo finanziario anche do­po le prossime elezioni politiche. La real­tà della Grecia dimostra che in ogni caso il diritto in Occidente non corrisponde alla giustizia e che questa globalizzazione ege­monizzata dai poteri finanziari forti ha svuotato la democrazia della sua sostan­za, annullando le diversità dei partiti e commissariando il Parlamento.

Rossella, Massimiliano e Salvatore ci di­c­ono che è arrivato il momento di interro­garci sulla scelta di forgiare e aderire ad un mondo in cui

a dettare legge è il dena­ro ma dove viene sempre meno la giusti­zia. Se ci lasceremo imbrigliare da questa follia convincendoci che non esiste alter­nativa, chiunque di noi rischierà di ritro­varsi nella loro condizione.

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