Un'ultimo assalto, un'ultima malinconica resa e ciò che restava della presenza militare ucraina in Crimea si dissolve. La maggior parte dell'equipaggio della nave d'assalto «Konstantin Olshansky», alla fonda presso il lago costiero di Donuzlav nell'ovest della penisola, ha preferito un'ingloriosa fuga a bordo di gommoni alla cattura da parte dei russi che appariva imminente. Nelle stesse ore, la sorte toccata a una settantina di commilitoni nella base navale di Feodosya aveva chiarito cosa dovessero aspettarsi coloro che non intendevano arrendersi: sono stati portati via dai russi, umiliati con le mani legate, mentre i loro comandanti sono stati arrestati e sembra portati via in elicottero. Stesso destino attende, ragionevolmente, la ventina di uomini rimasti a bordo della «Olshansky» con il loro comandante Dmitry Kovalenko. Da sabato non si hanno inoltre notizie del comandante ucraino della base di Belbek Yuli Mamchur, che aveva fino all'ultimo resistito all'assedio russo.
Piuttosto tipico anche quanto è accaduto dopo questi due episodi finali dell'aggressione alla Crimea travestita da libera secessione: il presidente ucraino Oleksander Turchynov ha reso noto di aver dato ordine a tutti i militari di ritirarsi dalla Crimea, una decisione presa alla luce delle minacce per «la sicurezza e l'incolumità» del personale di stanza nella penisola e delle famiglie. Ma poco dopo Vladislav Selezniov, portavoce del ministero della Difesa ucraino nella penisola ribelle, ha puntualizzato che i militari ucraini tuttora di stanza in Crimea non avevano «ancora» ricevuto alcun ordine di ritirarsi.
In attesa che si faccia finalmente chiarezza, la minoranza tartara della penisola annessa da Mosca cerca di darsi una linea d'azione all'interno del nuovo e temutissimo contesto. Mustafa Jemilev, fino all'anno scorso presidente del Mejlis - il consiglio dei tartari di Crimea che ammontano a circa 250mila persone -, ricorda che la sua comunità ha boicottato il referendum del 16 marzo scorso voluto da Mosca e tenta di «rilanciare»: vogliamo organizzare, ha detto in una conferenza stampa, un nostro referendum per stabilire il da farsi. Sabato si svolgerà a Simferopoli un «congresso nazionale» in cui si discuterà di autodeterminazione, ma Jemilev ha fatto capire che i tartari non metteranno in discussione l'appartenenza di fatto della Crimea alla Russia. L'attuale situazione di confusione alimenta a tal punto le preoccupazioni in un popolo che non può dimenticare la deportazione imposta da Stalin settant'anni fa, che ammonterebbero già a cinquemila i tartari che hanno lasciato la Crimea, in gran parte per rifugiarsi nell'Ucraina occidentale.
IntantoMosca dimostra di voler premiare quanti hanno abbandonato o abbandoneranno lo Stato ucraino.
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