Mi manda Obama. Quanti raccomandati tra gli ambasciatori

Più della metà non sono diplomatici di carriera e hanno come unico merito l'aver finanziato la campagna presidenziale

Mi manda Obama. Quanti raccomandati tra gli ambasciatori

New York - «Club diplomatico d'acquisto». Così, con un richiamo al film Dallas Buyers Club, nelle sale in America, il comico Jon Stewart ha scherzato sull'ultimo guaio di Barack Obama. Giornali e televisioni negli Stati Uniti raccontano in dettaglio le recenti audizioni di conferma di alcuni candidati a posti di ambasciatore, nominati dal presidente. Le performance che hanno ottenuto spazio sulle prime pagine hanno in comune due aspetti: le presentazioni dei futuri diplomatici al Comitato per le Relazioni internazionali del Senato sono state a tratti imbarazzanti; i protagonisti non sono diplomatici di carriera, ma sono nomine politiche, scelte da Obama per il loro sostegno finanziario durante le sue campagne. In breve, si tratta di donatori democratici ricompensati per i loro servizi. Noah Bryson Mamet ha donato 500mila dollari per la rielezione del presidente. Dopo aver parlato dell'Argentina come «una matura democrazia», in un momento in cui Buenos Aires tenta di arginare per esempio le libertà della stampa nazionale, l'uomo ha ammesso davanti a un incredulo senatore Marco Rubio di non aver mai messo piede nel Paese in cui dovrebbe servire come ambasciatore e di non parlare nemmeno lo spagnolo. Così come George Tsunis, milionario padrone di una catena di alberghi, finanziatore con più di un milione di dollari della campagna di Obama, che ha spiegato di non aver mai visitato la nazione in cui dovrebbe lavorare: la Norvegia. Senza essere neppure entrato in servizio, l'uomo d'affari ha già creato una piccola crisi diplomatica tra Oslo e Washington. Rispondendo a una serie di pressanti domande del senatore repubblicano John McCain, visibilmente stupito dalla superficialità delle sue conoscenze «scandinave», Tsunis ha definito il Partito del Progresso, movimento di destra norvegese che siede nella coalizione di governo, un gruppo «radicale». Il senatore McCain ha concluso l'audizione con un tono ironico: «Non ho più domande per questi candidati altamente qualificati», ha detto dopo aver ascoltato le risposte di Colleen Bell. La candidata alla poltrona di ambasciatore in Ungheria, tra i produttori della longeva soap opera Beautiful, ha raccolto 800mila dollari per l'ultima campagna di Obama. Ha faticato però a rispondere alle domande del comitato sugli interessi americani in Ungheria e sulla crescita di spinte di ultra destra nel Paese.

Le recenti gaffe hanno scoperto il fianco dell'Amministrazione Obama alle critiche repubblicane e hanno riacceso un dibattito che esiste da decenni. Il presidente democratico non è infatti né il solo né il primo leader americano ad aver distribuito posti diplomatici a donatori e sostenitori. Il Washington Post, che ha dedicato una dettagliata inchiesta alla questione, spiega che da tempo i presidenti usano la regola del 70-30, assegnando il 70% delle nomine di ambasciatore a diplomatici di carriera e dedicando il 30% a nomine politiche. Stando ai numeri, Obama è nella norma se si analizza il periodo delle sue due presidenze. Secondo la American Foreign Service Association (Afsa) le sue nomine politiche rappresentano dal 2009 a oggi il 37% del totale degli ambasciatori, contro il 27% di Bill Clinton, il 30 di George W. Bush, il 38% di Ronald Reagan. Sei si prende soltanto il suo secondo mandato, però, la percentuale è molto alta: 53%. In seguito alle gaffe di questi giorni, alcuni ex diplomatici di carriera hanno chiesto l'abolizione delle nomine politiche e l'Afsa pubblicherà linee guida per la scelta degli ambasciatori.

Non tutti però sono contrari all'entrata nel corpo diplomatico di figure esterne qualificate, capaci per alcuni di un approccio originale alle relazioni internazionali. L'esempio è quello dell'attrice Shirley Temple, mancata pochi giorni fa, che come ambasciatore in Ghana e poi in Cecoslovacchia nei difficili anni tra il 1989 e il 1992 ha raccolto lodi bipartisan.

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