Pristina - "Aspettavamo questo momento da 15 anni", urla Rudina in mezzo alla folla che festeggia nel cuore di Pristina dalle prime ore di questa domenica di indipendenza. Lei di anni ne ha 14, ma le contraddizioni della matematica contano poco. Sono i miracoli del nuovo Kosovo sovrano, accolto oggi come l'eldorado dagli albanesi e come un incubo da serbi. Comunque la si veda, uno spartiacque.
Due mesi fa, le elezioni, da queste parti, erano state un mezzo fallimento. I serbi - per protesta contro la secessione - le avevano boicottate in massa. Ma anche sei albanesi su 10 erano rimasti a casa, pessimisti sul futuro, stanchi della mancanza di lavoro, della criminalità diffusa, delle promesse mancate. Oggi sembra un altro mondo. La parola d'ordine è ottimismo, quasi tutti giurano su "un avvenire migliore". Una limpida giornata invernale accoglie le migliaia di persone che si riversano sul boulevard Madre Teresa e in tutte le strade del centro di Pristina. Il vento gelido e la temperatura sottozero non fermano quasi nessuno. Le macchine, costrette a girare al largo dalle limitazioni imposte al traffico per l'occasione, suonano i clacson all'impazzata.
I pedoni camminano sul boulevard come su una lunga passerella circondati da cartelloni con messaggi d'auguri e di esultanza, dalle decorazioni patriottiche che colorano vetrine e balconi, all'ombra d'un mare di bandiere: innumerevoli quelle albanesi rosse con l'aquila nera - in attesa che l'invisibile stendardo kosovaro veda finalmente la luce -, ma anche quelle del grande fratello americano. E poi simboli europei e immagini di Ibrahim Rugova, il padre della patria scomparso due anni prima del compimento del suo sogno. Mentre il proscenio dei vivi è paradossalmente per l'ex guerrigliero Hashim Thaci, oppositore storico del presidente scomparso, invocato a gran voce da drappelli di giovani attivisti del suo partito, il Pdk, che sciamano gridando a squarciagola: "Thaci, Thaci, Paveresia, Pavaresia!" (Thaci, Thaci, Indipendenza, Indipendenza!). Il timore di spari e proiettili vaganti è rinviato alla notte. Niente alcol e niente armi, è la disposizione delle autorità. E in effetti si sentono solo mortaretti e si vede qualche boccale di birra.
La sorveglianza della polizia e dei militari del contingente Nato della Kfor è discreta: all'occhio attento non sfuggono i posti d'osservazione dai terrazzi degli edifici, ma il clima è rilassato, al punto che un soldatino francese si lascia andare a scattare foto ricordo. Accanto a Rudina e alle sue compagne di scuola, intente a disegnare su uno striscione un Kosovo che si libera dalla gabbia, passa un uomo anziano. Si chiama Ilmi Aliu, è un ex minatore della storica miniera di Trepca, è accompagnato da quattro figli e uno stuolo di nipoti, tutti con indosso t-shirt coi colori albanesi, e non ha dubbi di sorta. "Da oggi cambia tutto, sento già che le cose cominciano ad andar meglio - proclama -, e per i mieni nipoti sono ancora più ottimista". Una giovane coppia ben vestita, arrivata per la festa da una cittadina vicina, annuisce all'unisono. "E' una gioia che non si può descrivere", dice lei, Elsa Ramadani, "mi sento piena di fiducia". "E' la nostra seconda liberazione - le fa eco il marito Mitat -, dopo l'ingresso della Nato in Kosovo nel 1999. Credo che l'indipendenza aiuterà il nostro sviluppo economico, porterà investimenti e una vita migliore per tutti, anche per la minoranza serba, con cui possiamo riappacificarci perché noi sappiamo cosa vuol dire essere vittime e non desideriamo che nessuno ripeta l'esperienza". Osman Gashi, avvocato, 54 anni, è l'unico a frenare gli entusiasmi. "Stiamo vivendo un gran giorno, ma l'indipendenza non risolverà tutti i nostri problemi", avverte. Sabrije Spahiu, insegnante di danza di mezza età, non ci pensa. E' euforica e dagli occhi chiari le spuntano lacrime di commozione: "Ricordo le sofferenze e le amarezze del passato, ma ora sono felice, l'Europa e il mondo vedranno che sapremo superare bene l'esame dell'indipendenza".
Da un traversa spunta all'improvviso un tricolore italiano, accanto a un vessillo rossocrociato e a più comuni bandiere albanesi e a stelle strisce. Sono i colori della famiglia di Hasan Mehani, un commerciante di 42 anni emigrato fin dalla giovinezza in Svizzera. E' tornato apposta per celebrare l'indipendenza della terra d'origine.
"Oggi la guerra è davvero finita", annuncia sorridente, esibendosi in ringraziamenti "all'America, all'Europa, all'Italia e al vostro ministro D'Alema, che con noi kosovari è stato molto gentile". "Il Kosovo - ripete anche lui - avrà un futuro migliore, io, come ogni figlio della diaspora, voglio tornare". Presto? "Beh, non subito. Tra un po' di tempo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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