Peter Fechter, il ragazzo morente sotto il muro di Berlino

Il 17 agosto del 1962 Peter Fechter, 18 anni, tentò di scappare nel settore Ovest, ma fu ferito dalle guardie di frontiera comuniste e lasciato agonizzare per un’ora davanti a migliaia di cittadini a cui fu impedito di intervenire

Peter Fechter, che morì sotto il Muro di Berlino
Peter Fechter, che morì sotto il Muro di Berlino

Il piano Peter Fechter era semplice e, come spesso capita, aveva anche buone possibilità di riuscire proprio per la sua semplicità. Con un amico avrebbe superato il primo muro di cinta, attraversato la «striscia della morte», scavalcato il secondo muro e raggiungendo così la libertà nella Berlino Ovest. Le guardie di frontiera però lo videro e iniziarono a sparare, l’amico riuscì miracolosamente a balzare dall’altra parte, mentre lui, ferito, cadde a terra. E lì lasciato dalle autorità comuniste, un’ora di agonia, sotto lo sguardo di centinaia di tedeschi occidentali, giornalisti e fotografi che immortalarono quel corpo che si torceva negli spasimi della morte.

Fechter non fu la prima vittima, altri 26 tedesco orientali avevano perso la vita prima di lui nel primo anno di vita del muro di Berlino. Ma quegli spasimi mortali sotto gli occhi del mondo ne hanno forse fatto per 50 anni la principale icona della Guerra Fredda. Berlino infatti nell’immediato dopo guerra fu divisa in quattro settori: americani, inglesi e francesi a ovest, russi a est. Con gli anni la separazione divenne ufficiale: da una parte la Repubblica democratica tedesca dall’altra la Repubblica federale tedesca meta di migliaia di tedeschi che rifiutarono il paradiso socialista e migrarono in massa verso occidente.

In pochi anni almeno 3 milioni e mezzo di persone trovarono rifugio a ovest, costringendo le autorità comuniste a correre ai ripari. Così nell’agosto nel 1961 nel giro di pochi giorni il settore orientale si trovò chiuso dentro la «Barriera di protezione antifascista» come venne chiamata dal regime comunista di Walter Ulbricht. Inizialmente alto due metri e lungo oltre 155 chilometri, il muro venne continuamente rinforzato e modernizzato. Nel giugno 1962 venne costruito una seconda cinta, creando così una spazio di un ventina di metri allo scoperto presto conosciuto come «striscia della morte». Nel 1965 venne sostituito da lastre di cemento armato collegate da montanti di acciaio e coperti da un tubo di cemento. L’ultimo ritocco dieci anni dopo, quando il cemento armato venne ulteriormente rinforzato e portato a 3,6 metri di altezza mentre la «striscia» venne protetta da 105 chilometri di fossato anticarro, 302 torri di guardia con cecchini armati, 20 bunker e una strada illuminata per il pattugliamento lunga 177 chilometri.

Espedienti che non bastarono a scoraggiare i tentativi dei tedeschi orientali di cercare la libertà all’ovest. Nei 27 anni di «barriera antifascista» molti persero la vita, anche se manca una cifra ufficiale: si parte da una stima minima di 192 a una massima di 239. Il primo a cadere sotto il piombo dei «Vopos», le spietate guardie di frontiera, fu il 24 agosto 1961 Günter Litfin, un sarto di 24 anni, l’ultimo il 5 febbraio 1989 Chris Gueffroy, studente di 21 anni.

Ma l’episodio più drammatico rimase per sempre quello di Peter Fechter, un muratore di 18 anni che il 17 agosto insieme a Helmut Kulbeik elaborò un piano semplicissimo. Si nascosero in un negozio deserto da cui potevano osservare i movimenti della guardie, quindi al momento giusto balzarono fuori, superarono il primo muro e attraversarono la «striscia». Arrivati al secondo ostacolo le guardie li notarono e spararono. Kulbeik riuscì a saltare dall’altra parte e a mettersi in salvo, Fechter ferito ricadde nella striscia, iniziando a lamentarsi. Da est nessuno si mosse, i «Vopos» rimasero immobili a guardare. Dall’altra parte la folla, attirata dagli spari, iniziò a rumoreggiare e gridare «assassini», arrivarono fotografi e cineoperatori e le immagini del ragazzo morente fecero il giro del mondo. Un macabro spettacolo durato quasi un’ora, fino a quando il giovane cessò di muoversi e lamentarsi. Solo allora le guardie andarono a raccogliere il corpo senza vita.

In seguito le autorità della Germania democratica ebbero anche la faccia tosta di accusare l’occidente: i «Vopos» non sarebbero intervenuti temendo di finire sotto tiro delle guardie occidentali. Per anni comunque il nome di Peter Fechter rimase un simbolo della spietatezza dei regimi comunisti. Dopo la riunificazione della Germania, nel 1990 fu messa una stele sul luogo della sua morte, divenuta poi un punto focale per le celebrazioni commemorative del muro. Lo scrittore Cornelius Ryan gli dedicò il suo libro «L’ultima battaglia», il compositore Aullis Sallinen un pezzo per orchestra intitolato «Mauermusik».

Nel marzo del 1997 due ex guardie di frontiera della Germania Est, Rolf Friedrich e Erich Schreiber dovettero difendersi dall’accusa di omicidio per la sua morte. Nel processo ammisero il fatto. Furono entrambi condannati ad un anno di prigione. E durante il processo venne effettivamente dimostrato come ogni aiuto da parte occidentale fu reso impossibile dalle guardie orientali.

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