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Se il mito Clint va contro Obama diventa subito un rimbambito

L’attore sbeffeggiato e insultato da chi, solo 8 mesi fa, lo aveva lodato per il suo assist al presidente. È la cultura del tifo ultrà che si trasferisce alla politica. E punisce col fango chi sta dall’altra parte

Se il mito Clint va contro Obama diventa subito un rimbambito

C'è qualcosa che non torna o che torna benissimo. Perché la giravolta attorno a Clint Eastwood è completa e totale. È imbarazzante oggi chi definisce imbarazzante l'attore-regista americano. È imbarazzante e squallido perché è la prova ultima di come il giudizio dipenda soltanto dalle scelte politiche che uno fa. È bastato il suo show di 12 minuti alla convention repubblicana per distruggerlo, per farlo definire un bollito, un poveraccio, un cialtrone. Il problema, ovviamente, non è suo. Ma di chi lo accusa. Nessuno si preoccupa di giudicare il contenuto di quei 12 minuti, nessuno si concentra su quello che ha detto. Basta la superficie a marchiarlo, a dargli la patente di vecchio rincoglionito. E la superficie è l'attacco al presidente e il sostegno al candidato repubblicano che vuol cacciare Obama dalla Casa Bianca.
Il giorno dopo l'America non parla d'altro, l'Italia copia e quindi fa lo stesso. È un carico di livore cieco, come se Eastwood avesse tradito non si sa che e non si sa chi. La verità è che s'erano illusi tutti otto mesi fa, quando il giro obamiano e la stampa progressista di tutto il mondo lo osannò: fu il protagonista dello spot più visto d'America, quello dell'intervallo del Superbowl. Parlando della Chrysler e della forza con cui s'era ripresa dalla crisi, Eastwood fece uno spottone alla presidenza Obama che aveva aiutato la stessa Chrysler nei momenti di difficoltà. Ecco, allora parlando dell'America che non si ferma mai al primo tempo, che si dà una mossa, che si mette in cammino e lavora, tutti ma davvero tutti avevano tirato fuori la storia del vecchio saggio americano, del simbolo del Paese che ce la fa. Tanto per capire, lo stratega di Obama, David Axelrod aveva definito lo spot «potente», il New York Times aveva parlato di un Eastwood «ispirato», l'Huffington Post suggerì di candidarsi alla presidenza, con qualunque partito, perché sarebbe stato l'uomo giusto.
I giornali italiani peggio. Qualcuno scrisse così: «Eastwood ha dato una lezione all'America: non ci si arrende mai, dopo il primo tempo». Ridicoli allora e ridicoli oggi, perché lo stesso giornale che all'epoca si esaltò per l'involontario o meno assist a Obama, oggi si indigna per l'appoggio esplicito a Romney e vomita veleno a fiotti: parla del «rantolo dello zio ubriaco», definizione che è circolata negli ambienti dei blog ultra liberal e non certo nei corridoi del potere repubblicano come si vuol far credere.

Ecco, la verità è che nessuno parla della eventuale portata politica dell'intervento: funzionerà? Non funzionerà? Aiuterà Romney o no? Le uniche domande giuste non le fa nessuno, perché sono tutti impegnati a sparare addosso a uno che se fa i film sull'eutanasia è una leggenda, ma se fa il tifo contro Obama è un poveraccio. È il banalissimo due pesi e due misure adattato a qualunque cosa. È la curva, la cultura ultrà trasferita nella politica. E la cosa più grottesca è che la si trasferisce a seimila chilometri da qui immaginando un'America italianizzata. Sui nostri giornali si parla di partito repubblicano imbarazzato, cosa che risulta soltanto dai commenti - non dalle cronache - di New York Times, Washington Post e Los Angeles Times, ovvero dall'estratto più puro del progressismo Usa. Nulla di male, ma certamente niente che si avvicini all'obbiettività. Repubblica usa addirittura Michael Moore, uno che ha massacrato Obama per quattro anni definendolo una delusione, un bluff, un buffone nelle mani del potere di Washington. Non si sono visti su Repubblica molti articoli firmati Michael Moore in questi anni. Adesso sì, contro Eastwood, che il regista più cialtrone d'America definisce un «vecchio pazzo». Capito? «Vecchio pazzo». Due insulti in uno, perché non ci si fa mancare niente. Soprattutto la coerenza. Distruggere un mito vivente è giusto, agli occhi di questi fanatici: basta che stia dalla parte sbagliata.

Eastwood sta lì da sempre, però ha commesso l'errore di aver fatto credere che avrebbe cambiato idea, facendosi coinvolgere nell'imbarazzante pro-obamismo di Hollywood. Ha fatto se stesso, a Tampa. Però non sta bene. Non può. Vai con il fango: il saggio diventa un rimbecillito. E chi lo accusa si sente pure intelligente.

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